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Video Intervista ad Ellade Bandini.
Caro de Andrè
Caro de Andrè
TERMOLI _ Le luci si abbassano. Del fumo si alza dalle quinte. Otto persone arrivano sul palco, sistemandosi vicino a microfoni e strumenti. Alcuni faretti si accendono, strategici, ed illuminano il cantante: è seduto su una sedia, con un microfono davanti alla bocca ed una chitarra tra le mani.
La musica inizia: inconfondibili, le note di “Creuza de mä” riempiono sinuose tutto il teatro, come se con vita propria fluissero dal palco agli spalti, sommergendo il pubblico incantato.
E dopo la musica, arriva il canto: molte bocche si spalancano, gli occhi si fanno increduli, perché la voce di Carlo Bonanni ricorda tantissimo quella di Faber. Intanto, il ritmo è aumentato, supportato dalle mani che battono e dalle tante voci che si uniscono a quella del solista: l’entusiasmo è palpabile ed insieme alla gioia diviene una delle costanti della serata.
E’ questo lo scenario che si è presentato agli spettatori di “Caro de Andrè” la sera del 6 Agosto al Teatro Verde di Termoli. I “Caro de Andrè“, tribute band del poeta genovese, insieme ad Ellade Bandini, storico batterista di Fabrizio, si sono esibiti per più di due ore riportando tutti i presenti ad almeno dieci anni fa, quando era ancora possibile assistere ad una tournée del cantante ligure. I cori, gli applausi, i “bravo! bravi! bis!” si sono uditi senza sosta, così come sen

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za sosta si sono susseguite le canzoni: “Princesa“, “La Canzone di Marinella“, “Amore che vieni amore

“Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio.” 

De Andrè (1967) Bocca Di Rosa

che vai”, “La Guerra di Piero“, “Dolcenera“, “Á Duménega“, e così via, in un vorticoso connubio di musica, parole, ricordi e nostalgia. Dopo circa un’ora di intensa condivisione, Bonanni dà l’annuncio che molti attendevano: Ellade Bandini sale sul palco, piccolo, sorridente, che cammina svelto per sedersi alla batteria, nel posto che per tanti concerti di Faber fu suo.
Immediate scaturiscono dalle sue mani, e da quelle della band, le note di “Don Raffaè“, “Andrea“, “Amico Fragile“, concludendo con “Il Pescatore” questo fruttuoso scambio tra suonatori ed uditori. Ed è proprio alla fine di questo estatico concerto che Bandini fa al suo auditorium un inestimabile dono: un portentoso assolo, esplosione di un’energia che aveva permeato band e pubblico per tutto lo spettacolo, caricandosi di forza nuova ad ogni canzone. Allo scemare dell’ultimo suono il coro cambia componenti: non è più composto dai “Caro de Andrè” e da Ellade Bandini, ma da tutti i presenti, che uniti in una sola voce gridano, si sbracciano, felici e colmi della musica appena udita, vissuta, assorbita, desiderosi che essa ricominci.

Ma il concerto è ormai concluso. Restano gli ultimi inchini, i saluti, ma poi i concertisti escono, ed il palco ritorna luminoso e vuoto. Le persone si alzano e vanno via con un sorriso: tristi per la fine dello spettacolo, ma contenti perché con quelle musiche, con quell’energia, con quelle voci, de Andrè, per una sera, è rivissuto.

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