“Quando viaggio, mi sforzo di conoscere il territorio come se fosse un essere umano, con la sua complicata, insondabile personalità. Aspetto che sia lui a parlare. E aspetto. E aspetto” (B. Lopez 2014). 
FranaRioVivoTermoliTERMOLI – Di tanto in tanto il territorio molisano si fa sentire con un cupo rantolo che sembra nascondere un paio di soffocate bestemmie. Il territorio molisano parla: solo poche parole ma, quando proprio non ne può più, sbotta con un paio di frasi che colpiscono duro. Buttano giù le case, intasano i fossi, interrompono le strade e allagano. Ricordo la risposta semplice ma molto efficace che diede un geologo a una signora che gli aveva chiesto come mai certi terreni della costa adriatica scivolassero verso il mare: “che alcuni terreni si muovano è normale mentre è da sciocchi costruire su terreni che si muovono”. 

La situazione che stiamo vivendo è davvero paradossale. Mai come negli ultimi tempi siamo consapevoli dei rischi che corriamo a causa di alcuni nostri comportamenti eppure mai come adesso ci esponiamo così tanto ai rischi. I terremoti, le alluvioni, gli incendi, gli incidenti sembrano insegnare niente. La grande capacità operativa e la straordinaria disponibilità di chi interviene, a rischio della propria incolumità, non riesce a far maturare una vera politica dell’emergenza condizionata, oltretutto, da povertà di fondi e pastoie burocratiche. Eppure, con tutti i guai che abbiamo avuto e continuiamo a sopportare, dovremmo avere in Italia una invidiabile cultura dell’emergenza.

Un terremoto non è prevedibile, certamente, ma è prevedibile che ce ne siano ancora e prevedibili sono i danni che farà. Li abbiamo già visti e di questi avremmo dovuto fare tesoro. Dopo ogni terremoto si riscrivono le normative che, puntualmente, saranno inutili nel giro di poco tempo. Criteri di calcolo raffinati e prescrizioni tecnologiche modernissime (non sempre migliori di quelle antiche, però) non bastano ad assicurare la tutela del territorio e del patrimonio immobiliare. Stiamo trasformando antichi edifici in bunker che tradiscono la storia locale e le sapienze costruttive antiche.

Il termine rischio è spesso usato a sproposito a giustificazione di insuccessi, approfittando degli equivoci che esistono nel rapporto rischio-pericolo, soprattutto quando le arbitrarietà delle scelte possono produrre un alto numero di soluzioni, condizionate da numerose e incontrollabili variabili. Non ultimi gli interessi speculativi. 
Di chi è la colpa se una casa costruita su una frana o sotto un costone franoso viene danneggiata? Di chi è la colpa se una casa costruita in riva al mare viene inondata? Se le cantine si allagano perché le fogne non vengono mai pulite, di chi è la colpa?

Il motivo che  porta a sottovalutare il pericolo può avere tre cause principali: un lungo periodo senza incidenti, la fascinazione dell’obbiettivo, la sindrome del “seguire il leader”. Definiti per i piloti aerei (Brunelière 2002) possono essere facilmente e utilmente estesi ad altri ambiti.

Le condizioni di vulnerabilità invitano a considerare un processo calamitoso come dipendente da fenomeni naturali. In molti casi la catastrofe si genera nella banalità delle inadempienze quotidiane, nei processi quasi impercettibili che, però, possono minare alla base la salute di una comunità. 

L’impatto di un fenomeno naturale non è altro, allora, che il detonatore che può far esplodere in un certo momento e in condizioni particolari quello che si è preparato tranquillamente nel tempo. Tutto questo può essere (se non evitato) almeno ridotto con politiche accorte di gestione del territorio, operazioni di manutenzione ordinaria ripetute ed eseguite con accortezza, ascolto delle richieste di chi rispetta il territorio, rapporti privilegiati con le scuole nell’ottica comune di formare cittadini migliori e consapevoli. Educando la comunità a farsi parte responsabile nella gestione della città ampliando gli spazi di un reale coinvolgimento. 

E, senza dubbio, investendo meglio le poche risorse verso progetti veramente utili a tutti; progetti capaci di valorizzare l’esistente e di favorire una politica di crescita civile che potrebbe rappresentare la più affidabile risorsa per il futuro.

Luigi Marino

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