Che con quegli anni di temperie ha molto in comune. Il postideologismo e l’assenza di attacchi terroristici in salsa nostrana non ci devono ingannare: stiamo vivendo anche oggi tutte le conseguenze politiche di una strategia della tensione che ha lo scopo preciso di sovvertire un ordine costituito per sostituirlo con un nuovo sistema. Non ho nessuna intenzione di formulare giudizi politici sui risultati elettorali. Prendo atto però di una volontà precisa di destabilizzare il Paese, di minare la fiducia della gente, di creare sconforto, che tanto ha in comune con gli anni settanta e ottanta. Li abbiamo condivisi come “anni di piombo”, perché allora la strategia della tensione si serviva del piombo dei proiettili. Oggi potremmo parlare degli “anni dei veleni”, perché la strategia della tensione si serve del veleno delle parole, che, si sa, possono uccidere più delle pallottole. Con una differenza enorme, tra quegli anni e i nostri: l’assenza degli statisti, che rende il futuro ancora più incerto e l’inquietudine maggiore. E statista era di certo Aldo Moro, nel senso più alto del termine; per giunta non l’unico all’interno di una classe politica che le dittature e la guerra avevano forgiato e reso d’acciaio. Non solo il più grande, ma anche il più scomodo, con quella sua pretesa di costruire un modo migliore attraverso il dialogo e le convergenze, di mettere insieme democrazia e comunismo, di dimostrare che poteva esserci un dialogo e un progetto condiviso anche tra l’Oriente e l’Occidente, quel dialogo che avrebbe finalmente composto una frattura che si era aperta ai tempi delle Guerre Persiane e da allora non si era più chiusa.
Ma la pace, si sa, è scomoda per molti, perché presuppone soprattutto un atto di umiltà. Questa umiltà, che insieme ad una intelligenza profondissima e ad una visione incredibilmente lunga era un tratto distintivo della personalità di Aldo Moro, non piaceva a nessuno. Non la volevano gli ideologismi farneticanti e perniciosi dei terroristi di destra e sinistra. Non la volevano frange irredente dei partiti italiani. Non la voleva, soprattutto, Henry Kissinger, perché avrebbe dimostrato possibile superare la divisione che da decenni si andava meticolosamente costruendo e infranto la supremazia dell’Occidente. Il muro della guerra fredda era fatto della materia evidente e tangibile dei mattoni del muro di Berlino, ma, principalmente, delle faide subdole e intestine dei servizi segreti. Sul ruolo degli Stati Uniti nel rapimento e nell’uccisione scontata di Aldo Moro, Gero Grassi sta scrivendo pagine illuminanti. La storia e la decriptazione degli archivi ci diranno presto la verità, che già filtra nell’interpretazione delle menti più acute. Oggi come allora la strategia della tensione mira a creare divisioni, non tra Est e Ovest, ma tra i Paesi dell’Unione Europea, all’interno di questo gigante della Pace e dell’Unità che fa comodo agli Europei ed è nel contempo estremamente scomodo alla Russia e agli USA, alla Cina… Perché un’Europa divisa e scontenta ci rende deboli e giova solo a chi ha interesse in un’Europa fragile. Lo stesso vale per l’Italia: la penisola protesa nel cuore del Mediterraneo è più utile se è indebolita da lotte intestine, più facilmente preda di millenarie politiche di conquista. Forse esagero e forse la similitudine deve finire qui.
Maria Chimisso