Luigi Marino
Luigi Marino
TERMOLI – «L’architetto pensa che la sua conoscenza tecnica – la sua capacità di parlare di forze e di momenti flettenti – lo pone a un livello superiore e il cliente intimidito accetta la sottomissione. Tuttavia, ironia della sorte, veramente pochi architetti sanno gestire le nuove forme con efficacia, e la semplice tecnica rimpiazza l’architettura con un progressivo imbruttimento della città e della campagna» (H.Fathy, 1969).


Ricordare questa osservazione di un architetto che ha speso tutta la sua vita a “lavorare per la gente e con la gente” può essere utile per evidenziare l’opposto atteggiamento nella preparazione del progetto termolese. Termoli rischia molto non soltanto perché il progetto tunnel-parcheggio-(e tutto il resto) stravolge la città ma soprattutto perché è stato pensato “in privato”. Si è cercato di imporlo alla Comunità presentandone soltanto una parte “visibile”, nella forma di una redenzione funzionalista (vi ricordate le prime sezioni del tunnel pubblicate a dimostrazione di progettualità “neutrale”?) con un inedito impegno comunicativo. Soltanto un po’ alla volta, perché costretti, sono stati svelati gli altri aspetti del progetto. 
Per lo sbancamento del piano di S.Antonio anche una pur pregevole ricerca storica viene strumentalmente utilizzata a giustificazione di un progetto mai sottoposto al parere di chi lo dovrà subire, di chi dovrà comunque sopportarne fastidi e costi per i tempi a venire. Impedendo una legittima forma di democrazia come il referendum. 
La chiamata in causa del podestà Cieri per giustificare lo sbancamento di tutto il colle è pretestuosa e ridicola. Angelo Cieri è stato tradito con l’eliminazione degli alberi di corso Nazionale e con l’utilizzo del Paese Vecchio, lasciato in abbandono nelle altre stagioni, solo come parco di divertimento estivo. La storia di una sistematica deformazione e svilimento di un ambiente semplice ma dignitoso della città fuori le mura è cominciato con un “stai sereno” a un sindaco di tanti anni fa, contrario allo sviluppo selvaggio della città, e perseguita da diverse amministrazioni successive fino ad oggi. I risultati di questo puzzle sono sotto gli occhi di tutti, segnati da nuovi edifici nei quali prevale “quella bizzarria competitiva” come l’ha definita Vittorio Gregotti. Se la città è il teatro più evidente della democrazia è triste dover constatare che, oggi, a Termoli nella gestione del territorio alcune basilari regole sono state sospese e che i confini dell’interesse collettivo sono stabiliti da pochi. 

È un concetto ormai acquisito – non dall’amministrazione termolese, evidentemente – che il paesaggio vada tutelato e rispettato nello stato in cui è arrivato a noi proprio perché è la stratificazione storica che definisce un territorio e una città. Può e deve essere migliorato da paesaggisti, botanici, sociologi e urbanisti qualificati ma non può essere trasfigurato con il pretesto che un tempo era diverso. Se proprio si volesse tornare alla situazione pre-Cieri bisognerebbe rimodellare il colle in una progressiva discesa verso il mare evitando però di inserirvi una portaerei di cemento armato in parte camuffata con piante prese pari pari dal catalogo di un vivaio. 

L’erosione della memoria storica delle città comincia con l’abbandono delle periferie e si materializza in tutta la sua forza quando si pone mano al costruito delle aree centrali senza preliminari studi, quando si consentono trasformazioni incontrollate destinate a legittimare ulteriori devastazioni, quando prende il sopravvento la grandeur di amministratori, progettisti e costruttori. Il meccanismo è sempre lo stesso: si lascia in abbandono un pezzo di territorio per giustificarne un successivo “recupero”; si creano difficoltà nel traffico in una parte della città per giustificare interventi “migliorativi” in un’altra parte. 
Con i suoi sbancamenti e lo tzunami di calcestruzzo il progetto “tunnel-parcheggio – e tutto il resto” (vero scopo del progetto) è una chiara dimostrazione di una architettura estranea all’esistente, di un’architettura disegnata al computer con scarsa attenzione per i caratteri  esistenti e la qualità urbana, un’architettura non preceduta da adeguate indagini conoscitive, un’architettura valutabile soltanto in metri cubi di costruito e in accessori vendibili.

Luigi Marino 

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