L’architetto Antonio De Felice ci ha lasciati.
TERMOLI – Tutte le volte che arrivavo a Termoli il primo pensiero era di andare a trovare Antonio De Felice. Ci davamo del tu e ci chiamavamo per nome. L’estate scorsa aveva espresso il desiderio di mangiare uno spaghetto con le vongole. Le ostriche non le aveva volute perché erano troppo pericolose. Andai sul trabucco di D’Abramo e gli portai un bel chilo di veraci fresche, con l’odore del mare. Le diede alla sua domestica e se le fece fare alla maniera termolese: aglio, olio e una spruzzata di prezzemolo con una foglia di basilico. Così mi disse.
Qualche tempo prima, gli avevo portato la mia ultima pubblicazione termolese, il “Glossario del vernacolo termolese”. L’avevo invitato alla presentazione in Comune con la preghiera che solo se si fosse sentito di venire, io lo avrei aspettato volentieri. Venne, anche se in carrozzella insieme al figlio Basso. E con lui venne anche alla presentazione, qualche sera dopo, del mio spettacolo annuale estivo “ ’Ma ssère ce parle termelèse”. Non voleva mancare alle manifestazioni che parlavano di Termoli. Mai! Anche quella sera venne in carrozzella. Ed era in prima fila: felice e sorridente mentre io recitavo in termolese.
Antonio De Felice amava Termoli e, si può proprio dire, più di se stesso! Affrontava, infatti, la malattia con coraggio e con rassegnazione. Forte nello spoirito anche se fiaccato nel corpo. Non si muoveva quasi più. Però era sempre pronto ad ascoltare, dare il consiglio giusto o l’intervista intelligente sulla sua Termoli.
Aveva fatto l’università a Napoli. Come me. Infatti andai da lui prima d’iscrivermi nel 1962. Mi offri l’aperitivo e parlammo per quasi due ore. M’illustrò, libricino alla mano, tutte le materie che avrei dovuto affrontare, le difficoltà degli esami e l’elenco dei professori con i loro pregi e difetti. Si era laureato nel ’56, ma ricordava tutto, per filo e per segno.
Alla fine mi convinsi: scelsi architettura! Ma non fui mai un suo concorrente. Ho sempre ammirato in lui il collega e l’uomo di cultura, preparato e modesto. Diceva spesso che era il numero 2 nell’Ordine degli architetti di Campobasso. E questo fatto lo inorgogliva e infastidiva perché avrebbe voluto essere il numero 1, diceva scherzosamente.
Caro Antonio, il giorno del tuo novantesimo ti avevo scritto un sonetto che myNews aveva pubblicato in quell’occasione.
Oggi lo ripropongo per quanti allora non ebbero modo di leggerlo. E tu, da lassù, nel Parnaso degli architetti, insieme a Wrhigt, Le Corbusier, tutti i più grandi architetti e perché no, anche il nostro architetto Tonino Crema, scomparso di recente, lo apprezzerai perché è stato scritto col cuore e pensato per una persona che ha speso la vita per l’amore del proprio paese e per essere un architetto bravo e onesto.
Termoli, ne avrà mai un altro?”.
Saverio Metere
DUDECE OTTOBBRE 2020!
(Ne nasce ‘hune ogne 90 anne)
‘Mmizze au Corse, pròprje au céntre du’ pajèse agabbete ‘n architétte termelèse.
Tè’ Tèrmele addind’u córe, ne’ ng é che fâ
p’u sòle, ‘u máre e… ‘u riste che ce stá!
Assòp’i paréte de ‘sta bèlla cáse
‘nge stanne fiure e róse addind’i váse ma sonne pettáte, fòrse cchju de mille deségne ch’areguaredáne ‘llu Castille:
c’a matite, l’acquérèlle e c’u pennille c’u córe chaddevènte ‘nu guajencille mèntre jóche ‘ssòp’i ppréte de Ternóle.
Archité’…E so’ novante! E ‘na paróle
te voòe dice mò che ‘stu sónétte:
‘n âte e novante, c’u córe, ARCHITETTE
DODICI OTTOBRE 2020!
(Ne nasce uno ogni 90 anni!)
In mezzo al Corso, proprio al centro del paese abita un architetto termolese.
Ha Termoli nel cuore, non c’è che fare
per il sole, il mare e… tutto il resto.
Sulle pareti di questa bella casa
non ci sono fiori e rose nei vasi ma sono dipinti, forse più
di mille disegni che rappresentano il Castello:
con la matita, con gli acquerelli e col pennello con il cuore che diventa bambino mentre gioca sulle pietre di Tornola.
Architetto… sono novanta! E una parola
ti voglio dire adesso con questo sonetto:
altri 90 anni, con tutto il cuore, ARCHITETTO!