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TERMOLI – Da Noè che, subito dopo il diluvio universale, pianta la vite, alla Grecia e Magna Grecia, per passare al tempo degli Etruschi e dei Romani, al Medioevo fino ai giorni nostri, un excursus storico accattivante, sopportato da immagini, che, grazie alla bravura dei relatori: l’archeologa Lidia Di Giandomenico, il vice sindaco Maria Concetta Chimisso, Maria Luciani presidente Unitre, l’enologo Confalonieri e Rossano Pazzagli docente di storia dell’Unimol, ha coinvolto il pubblico che ha riempito i posti a disposizione dell’Aula Magna della sede di Termoli dell’Università del Molise.
Il vino è storia e, ancor più, cultura, con la sua capacità di animare il Simposio, ai tempi in cui al centro del mondo c’era la Grecia, fonte di una grande civiltà che ancora ci appartiene, cioè lo stare insieme e vivere, con il vino, la musica, l’eros, la poesia, il dialogo, il confronto e lo scontro, la politica, quella vera, che aveva come fine il governo della città, il coinvolgimento del popolo o dei popoli. Il vino e, fino a qualche tempo fa, la sua capacità, insieme con il pane e con l’olio, di animare la tavola, la nostra tavola e quella dei popoli del Mediterraneo.
Un grande protagonista. con Dioniso, il dio del vino dei Greci, che, al tempo dell’impero romano prende il nome di Bacco. Il Dio della saggezza quando è sobrio e della follia se ubriaco, cioè esagerato. Il dio che spiega il momento che vive il mondo, noi viviamo, con le esagerazioni causate dal denaro, dal profitto per il profitto, come pura follia che sta facendo rischiare la sopravvivenza del globo, la terra, la madre terra che appartiene a ognuno e non a pochi affamati di denaro, guerre, distruzione e furto di territori, fuga di comunità e civiltà.
Il vino – dalla preistoria alla storia – ispira la poesia, l’arte; è amico dell’eros, della buona compagnia e dell’amicizia; anima le tradizioni; è fonte di attività e di sviluppo economica; rallegra; nutre mettendo a disposizione, soprattutto delle classi meno abbienti, preziose calorie; è parte centrale del rito, la messa; e, con la sua vite che lo esprime attraverso l’uva, è l’incontro del la terra con chi coltiva la vite, il viticoltore, e, sempre più, negli ultimi decenni, anche con un nuovo protagonista, l’enologo.
Negli ultimi anni, nonostante la grande rinascita del vino – parlo soprattutto dell’Italia – agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, il vino rispecchia i tempi caratterizzati dall’uniformità dei consumi, la difficoltà dello stare insieme e del dialogo, con il vino che viene sostituito da altre le bevande, soprattutto quelle non alcoliche. Il dato dei 100 litri di consumo procapite annuo in Italia, nel 1970,sceso a poco più dei 40 litri dell’anno scorso, lo stanno a dimostrare. La stessa produzione, ridotta a quasi un terzo dei 117 milioni di ettolitri, sempre anno 1970, dimostra che il vino, pur rimanendo il principe dei testimoni della gran parte dei nostri territori, sotto la pressione della voracità delle multinazionali della birra, dei soft drink e altre bevande a base di acqua e zucchero, non conta più come un tempo.
Il Molise è una terra da vino, da sempre, e a dimostralo c’è il sito archeologico di Campomarino, con reperti risalenti al 13 secolo a.C.., che fanno pensare all’uva, come frutto, e, poi, alla sua trasformazione in vino. Il cammino della vite e del vino, dalla Mesopotania, dove, diecimila anni fa, è nata l’agricoltura, è molto lento.
Il Molise è – rapportato alle sue dimensioni – terra da vino, anche se poco conosciuta per la mancanza di quantità e, fino alla fine degli anni ’90, senza un testimone importante, credibile. E’, grazie all’Enoteca italiana di Siena, che mi ha ispirato e guidato nella riscoperta della Tintilia, e, grazie soprattutto, all’agronomo Michele Tanno, che è andato a ritrovare i pochi filari di vite rimasti nel territorio di appartenenza, quello intorno a Campobasso. Poi, l’importante ruolo dell’Università del Molise e dell’allora ente di Sviluppo, con tante prove a dimostrazione della bontà dei caratteri di questo vino, oggi tutto e solo molisano, inserito, prima nella Doc “Molise” e, poi, nel 2010, Doc “Tintilia del Molise” con tre tipologie di vino.
Ed è, così, che la vitivinicoltura molisana, ha avuto il suo testimone capace di rappresentarla con grande dignità, anche se questa motrice è costretta a trainare i tre carri rappresentati, ma quasi vuoti, dalle altre tre Doc “Biferno, “Pentro” o “ Pentro d’Isernia” e “Molise” o “…del Molise”, le due Igt “Terre degli Osci” e “Rotae”, e, con l’ultimo carro, che rappresenta l’altra metà del vino molisano, venduto sfuso, cioè senza immagine. Un vino che non premia i viticoltori, ma solo chi, altrove, lo confeziona sotto altro nome.
Un grande limite che punisce un territorio ricco di colline, da sempre vocato alla vite, all’olivo e alla cerealicoltura, con grani che hanno fatto la fama dei pastai molisani e reso il capoluogo, Campobasso, una delle più importanti città della pasta in Italia.
Un territorio segnato da una sola Strada del Vino e con il solo Comune di Campomarino protagonista dell’Associazione Nazionale delle Città del Vino, ideata da Elio Archimede e promossa dall’Enoteca Italiana di Siena. Troppo poco in una fase in cui il vino e, insieme, la gastronomia sono diventati due elementi importanti nel campo della promozione del Turismo in Italia.
Un gran bell’incontro, sponsorizzato da una cantina cooperativa, la San Zenone di Montenero di Bisaccia, che, con la scelta dell’imbottigliamento di vini monovarietali e di ottimo rapporto qualità/prezzo, ha dato un’importante svolta alla sua immagine, dimostrando che una cooperativa, se ben guidata, può svolgere un importante ruolo, soprattutto oggi, quando il glocale è vincente sul mercato globale se, con la quantità sopporta , la qualità.
Chiudo con un mio applauso dovuto ai relatori, Maria Luciani, presidente dell’Associazione Unitre che ha organizzato l’incontro; Maria Concetta Chimisso, preside dell’Istituto alberghiero di Termoli; Lidia Di Giandomenico, archeologa; Rossano Pazzagli, docente di storia dell’Unimol, l’enologo Confalonieri.