La Rimini di Fellini assomiglia molto alla nostra Termoli.
MetereFontana
Saverio Metere
TERMOLI
…’HI M’ARECORD che quando ero piccolo il mio paese era MOLTO diverso.
Dopo il secondo conflitto mondiale ci fu un periodo nel quale tutta l’Italia fu interessata dal boom economico. La ricostruzione fu appannaggio quasi esclusivo della Democrazia Cristiana che, naturalmente, coinvolse la chiesa a partecipare anche al cambiamento del nostro piccolo borgo rivierasco. Sparì la vecchia Villa Comunale, inghiottita da un pavimento di piccole piastrelle rettangolari di cemento. Con esse sparì anche la vasca con i pesci rossi e  gialli, molto più  simili a…triglie.  Ogni tanto un bambino, in attesa di andare a messa a  S. Antonio, ci finiva dentro, rapidamente ripescato da qualcuno che stava nei pressi. Anch’io ne fui vittima. 

Tolsero anche quell’enorme pallone in cemento armato di oltre due metri di diametro ubicato in prossimità dell’attuale Municipio che serviva da base ad un alto palo di ferro che in cima, a quindici metri circa, portava quattro grosse lampade. Sotto quel cerchio di luce, le sere d’estate, i grandi ci raccontavano storie di briganti e di fantasmi. Verso le dieci, si tornava a casa con la coda tra le gambe per il timore d’incontrare uno di quei personaggi ascoltati nel racconto.  A volte erano persino identificati con persone del paese. Per cui la paura aumentava.
La Villa era anche luogo di incontri che facevano nascere rapporti d’amicizia. Durante il giorno, si svolgevano i giochi più belli: quelli della trottola, (‘u strummele), delle biglie di vetro (‘i pallucce),a mazze-e-cuzze (la lippa). Si formavano le prime bandarelle che si davano appuntamenti feroci per battaglie che a volte finivano con qualche testa rotta  o gamba ingessata. Le bande prendevano il nome dai quartieri di provenienza. Ogni banda aveva nel proprio quartiere uno spazio, uno slargo dove avvenivano gli incontri-scontri. Li indichiamo brevemente:
Il  primo era denominato d’arrete ‘a Ville  (dietro la Villa), dove  si costruì, poi,  quell’enorme pachiderma del Municipio e quell’altra bruttura oggi adibita a succursale di alcuni uffici del Comune. Qui si trovava anche la parrocchia di S. Antonio, dove la presenza del seminario vescovile, già esistente, dava un po’ di credibilità all’ intero complesso ecclesiastico.
Il secondo, chiamato d’arrete i bbagne, (dietro i bagni) – per la vicinanza alla parte del mare di Rio Vivo –  era alle spalle del Cinema Moderno (l’attuale Cinema Lumière), oggi riempito da grossi edifici e case popolari;
Il terzo, ‘u larghe da’ Crucette (il Largo della Crocetta), era ubicato nello spazio dove è stata costruita la  Chiesa di S. Timoteo, con quell’ enorme spazio adibito alle funzioni: non c’è il sagrato, ma in compenso si è trovata la superficie per annetterci un cinema e la casa per il parroco;
L’ultimo, du’ Pajèse Vicchje (del Paese Vecchio), interessava il Sagrato del Duomo e lo spazio tra il  Castello e  il muraglione di cinta del Borgo (‘u piane Cardone),  costituito da pavimenti di terra e breccioline.
Insomma, gli unici tre spazi a verde, furono trasformati con colate di cemento e mattoni. Ricordo questi luoghi come tre occasioni perse per dare un po’ di verde al paese.  Contemporaneamente, con l’allungamento del porto, sparivano le spiaggette di sabbia sostituite da spazi o piazzali per carico-scarico del pesce e molluschi; e, naturalmente, per la sosta delle auto. Una fila di stabilimenti balneari sorgeva lungo le due spiagge, a Nord e a Sud, che, francamente, cambiarono, in meglio, il volto del litorale. Il paese, vedeva la periferia interessata dalla costruzione di grossi complessi di edilizia sia popolare intensiva che a villette isolate, in linea e a schiera. Insomma, la città era destinata a cambiare volto, diventando uno dei centri più ambìti e attrezzati della Regione.
Oggi vi transitano i treni provenienti da nord, da sud e dall’interno del Molise. I paesi prossimi,  invidiano i “cambiamenti” avvenuti in tutti questi anni. Larino, Isernia, lo stesso capoluogo, non potranno mai avere lo sviluppo che ha avuto il nostro piccolo borgo di pescatori in quanto la posizione geografica, interna alla Regione, impedisce loro di partecipare agevolmente col resto del territorio.
La cosa strana è che alcuni gruppi politici non riescono a comprendere lo sviluppo che il paese cerca di perseguire. Capita che, pur di andare contro le istituzioni, si commettono errori imperdonabili. Con essi si sono aggregati anche  i nostalgici, quelli, cioè, che rimpiangono la vecchia Termoli; quella delle spiaggette,  delle passeggiate nel piccolo porto e nel Vecchio Corso Nazionale.
Tutti quelli che vogliono continuare a vivere di ricordi, hanno intrapreso cruente battaglie politiche che mirano a cambiare tutto affinché nulla cambi, secondo una vecchia filosofia cara ai  siciliani tesa a conservare quello che si è  conquistato. I nostalgici – aiutati anche da personaggi di grossa presa come Vittorio Sgarbi – che ogni tanto passa da Termoli per elargire i suoi preziosi consigli – si fanno convincere a lasciare tutto come si trova e conservare le vecchie cose come reliquie. Un esempio per tutti è quella vecchia scala del porto attaccata alla parete verso Marina di S. Pietro, sostituita, finalmente, da una “a chiocciola”, deprecata e osteggiata ma molto  utile per un collegamento diretto tra il Paese Vecchio e la zona del porto.
Insomma, c’è una parte della popolazione che vorrebbe condannare il paese all’immobilismo dove tutto ciò che si fa è sbagliato per restituircene uno incartapecorito che non corrisponda più all’esigenze della VITA MODERNA.
A questi consigliamo, anche se in modo canzonatorio, DI FARSI UNA BELLA CURA DI …CINAR, CONTRO IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA!  Con tanti AUGURI DA PARTE DI

Saverio Metere
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Saverio Metere
Saverio Metere è nato a Termoli il 23 settembre del 1942. Vive e lavora a Milano dove esercita la professione di architetto libero professionista. Sposato con Lalla Porta. Ha tre figli: Giuseppe, Alessandro, Lisa. Esperienze letterarie. Oltre ad interventi su libri e quotidiani, ha effettuato le seguenti pubblicazioni: Anno 1982: Lundane da mazze du Castille, Prima raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1988: I cinque cantori della nostra terra, Poeti in vernacolo termolese; anno 1989: LUNDANANZE, Seconda raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1993 da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume primo); anno 1995: da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume secondo); anno 2000: I poeti in vernacolo termolese; anno 2003 (volume unico): Matizje, Terza raccolta di poesie in vernacolo termolese e Specciamece ca stá arrevanne Sgarbe, Sceneggiatura di un atto unico in vernacolo termolese e in lingua; anno 2008: Matizje in the world, Traduzione della poesia “Matizje” nei dialetti regionali italiani e in 20 lingue estere, latino e greco.

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