LARINO _ L’anno 2008, quello delle bolle e del crollo finanziario, è da considerare un anno decisivo, uno spartiacque che chiude definitivamente con il passato e pone forti interrogativi per il futuro. Anche se la frattura profonda è stata da tutti percepita e considerata si continua a vivere il mondo come se niente fosse accaduto, tra un sobbalzo di speranza nella ripresa dell’economia e, il giorno dopo, la depressione perché la realtà dice che non è tempo di sperare. Tutto come prima, ma non è per niente così. Anzi, bisognerebbe ribaltare subito la situazione e dare ai processi un cambiamento radicale per bloccare lo spreco e ciò è possibile se i consumi vengono ridotti alle necessità essenziali.

Ancora oggi, anno 2011, tutti, dico tutti quelli che hanno in mano il destino del mondo e, per quel che ci riguarda, l’Italia, parlano di crescita. In pratica c’è un abuso della parola crescita, soprattutto da parte di persone che la citano in tutta buona fede, nel momento in cui camminano con la testa rivolta al passato, cioè ad un mondo che non c’è più ed a una realtà che non ha più niente per far pensare alla crescita.

Diversamente da quelli che sanno e prevedono tutto, gli autori, che hanno creato queste condizioni e vogliono correre ai ripari con un intento ben preciso: quello di uscire ancora più forti dalla crisi che hanno creato – è bene ricordarlo- tutto a spese del pianeta, che verrà sempre più depauperato, e di miliardi di uomini e donne sempre più affamati. La verità è che siamo di fronte ad una realtà che ha un forte bisogno di sobrietà, cioè di misura e di peso, per non sbagliare i passi che sono necessari per riprendere il cammino e dare, soprattutto ai giovani, opportunità più che speranze. Un cammino non facile ma esaltante, che ha come obiettivo il progresso dell’umanità, che è tale se ricco di valori e di regole che aprono al dialogo, stimolano la partecipazione, rafforzano la democrazia e portano al rispetto delle risorse che ogni territorio esprime: da quelle naturali, come l’ambiente ed il paesaggio, a quelle legate alla cultura ed alla storia, alle tradizioni. Cioè l’insieme degli elementi espressivi della identità di ognuno.

 La ricerca di una pezza più piccola del buco non solo peggiora la situazione, nel momento in cui è certo che non la risolve, ma serve solo per rendere ancora più avventuriero il capitale (sempre più multinazionale) e ancora più forte il fenomeno della criminalità organizzata, che continueranno, se non verranno bloccati, come un treno su due binari paralleli, non lontani l’uno dall’altro, che porta e ferma alle stesse stazioni. Mentre le multinazionali vanno avanti secondo i programmi che si sono dati, i governi dei paesi e le stesse opposizioni, ogni giorno, come sopra si diceva, devono correggere le previsioni del giorno prima dando l’impressione di essere confusi, sbandati, anche perché la toppa trovata è sempre più piccola del buco che hanno creato. Parlano di crescita, mai di risorse e di valori, di programmi e di partecipazione, come dire che l’unica idea in mente che hanno è l’ulteriore ricorso al debito, che vuol dire tagliare definitivamente le gambe alle nuove generazioni. A mio parere c’è bisogno di un forte segnale di discontinuità per poter tracciare un nuovo percorso e riprendere il cammino. Ciò è possibile se si riparte da due elementi fondamentali, i valori e le risorse.

Entrambi questi elementi sono stati da tempo sacrificati sull’altare del consumismo e dello spreco, dell’accumulo delle ricchezze da parte di persone senza scrupoli e della criminalità organizzata, della povertà e della fame. Povertà e fame che sono alla base delle tensioni che sta vivendo il Mediterraneo per colpa di governi nelle mani di tiranni benedetti dal capitale, cioè dalle democrazie occidentali. Tensioni che si diffonderanno con i bisogni dei giovani, soprattutto quello del lavoro, non solo quale fonte di reddito e di guadagno, ma di realizzazione ed espressione di solidarietà. Un terzo dei giovani senza lavoro, con le donne in grande maggioranza, ha il significato di una generazione che è costretta dai fatti a muoversi se non vuol vivere la disperazione. Un dato di grande attualità, che meriterebbe un particolare approfondimento anche ai fini di questa pillola di riflessione sulla crisi dell’economia, è il costo pesante pagato per questa crisi dall’agricoltura e, con essa, dal territorio nel suo insieme, in particolare quello delle regioni del sud. pasqualedilena@gmail.com

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