Profumi, tradizioni, storie di una Termoli che non c’è più.
TERMOLI – Una serata scoppiettante quella espressa ieri sera al Largo Tornola nel Borgo Vecchio di Termoli. Sulla scena un bravissimo Ettore Fabrizio, termolese doc, ha recitato per oltre un’ora un monologo citando fatti, tradizioni, usi e costumi del Paese Vecchio e dei suoi abitanti. Abbiamo così potuto rivivere alcuni momenti qualificanti dei nostri padri, nonni e anche bisnonni. Alternati a frasi in vernacolo, venivano citati personaggi tipici termolesi scomparsi da tempo e noti più con i loro soprannomi che con i nomi di nascita. Ho risentito i nomi di Madame de Tebbe, l’astatore dalla voce roca del Mercato del pesce, Trenta Carrine, leggendario marinaio che aveva dato il suo nome alla barca da pesca, Bricche proprietario dell’ultimo trabucco ancora con i pali nell’acqua presso la spiaggetta di Rio Vivo.
Mentre lui recitava, sembrava di sentire ancora gli odori di’ sardenicchje, di’ trejezzóle e di’ seccetèlle messe ad essiccare che esalava dai tavelarille posti lungo il muraglione del Paese Vecchio e per il vecchio Corso Nazionale; la fragranza quasi palpabile emanata dalla descrizione della zuppa di pesce, dove trovavano posto anche e soprattutto, a volte, i pesci meno nobili, quelli cosiddetti poveri, come i serrune, i serpetèlle e avolte anche i buatte che abbocca all’amo anche con un mozzicone di sigaretta; e la famosa schaffétte, il pesce dell’ultima pescata che i marinai riportavano a casa per mangiarlo insieme alla propria famiglia.
E poi c’erano i prodotti della terra. Quando non c’era pesce perché le paranze erano rimaste a riva per il maltempo, le famiglie dei marinai mangiavano panecotto e foglie, bollito con il sugo del poco pesce rimasto, che chiamavano ‘u pésce fejute, pesce… fuggito!
Erano cibi poveri ma oltremodo appetitosi e profumati; come ‘u scescille, formato con i prodotti dell’orto, pane raffermo, formaggio e uova, che oggi è diventato una vera leccornia e che i ristoranti tipici termolesi fanno a gara per prepararlo secondo la tradizione.
E il bravo attore termolese, ha parlato anche delle prime barche da pesca di una certa consistenza: le paranze, dalla grossa vela molto alta che andavano a pescare sempre affiancate due alla volta. Alcune erano divenute leggendarie e prendevano il nome dalle famiglie dei marinai che vi navigavano. Dopo la guerra queste furono sostituite da grosse barche a motore. A tale proposito è stato proiettato un filmato risalente all’ultimo conflitto mondiale, che ha mostrato i primi pescherecci che montavano i motori dei carri armati lasciati dai tedeschi.
Lo spettacolo era a prenotazioni con un numero fissato di posti a sedere. Il folto pubblico – circa un centinaio di persone controllate all’ingresso – era pressoché tutto munito di mascherina. Quelli giunti verso la fine, non trovando posto, erano stati costretti a stare in piedi nel fondo o ai lati dei corridoi. Sfidando il pericolo del coronavirus, la gente ha applaudito e si è molto entusiasmata nell’ascoltare anche i “Fattarille” di Anna Catalano che si inseriva a tempo prestabilito nella narrazione di Ettore Fabrizio.
Insomma, un evento rievocativo degno delle migliori tradizioni termolesi che, insieme agli altri, espressi al TEATRO VERDE da L’ALTRO TEATRO di Ugo Ciarfeo e dal sottoscritto con ‘Ma ssère ce parle termelèse, varrebbe la pena di ripetere la prossima estate… coronavirus permettendo!
Saverio Metere