COLLETORTO _ Dopo 20 secoli dalla nascita del figlio di Dio, l’umanità ha ancora bisogno di approfondire il senso del Natale Domini che ha cambiato il tempo e le sorti dell’uomo. Nel romanzo il dottor Zivago, il russo Pasternak esprime la sua convinzione sulla nascita di Cristo. E’ Lui che ha dato un volto nuovo alla storia dell’umanità, è Lui che ha stagliato la tagliente arma della morte umana: “Solo dopo Cristo, i secoli e le generazioni hanno respirato liberamente. Solo dopo di lui è cominciata la vita nella posterità e l’uomo non muore più per istrada sotto un muro di cinta, ma in casa sua, nella storia, nel culmine di un’attività rivolta al superamento della morte”.

Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330 – tempo in cui i il cristianesimo era considerato religione lecita – si cominciò a festeggiare il Natale il 25 dicembre. Quella data fu scelta perché già vi si festeggiava il sol invictus, il “sole mai vinto”, trionfatore sulla notte, che proprio in quei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere le forze e ricomincia a salire nell’orizzonte. Non è un caso che il più antico mosaico cristiano, scoperto sotto la basilica di San Paolo a Roma, rappresenti Cristo-Helios, Cristo-sole sul carro trionfale. Da Roma la festa si propagò in Africa settentrionale e alla fine del V secolo Natale segnava già l’inizio dell’anno liturgico: l’imperatore Giustiniano nel 529 lo dichiarerà giorno festivo, senza lavoro, e da allora la festa del Natale si diffonderà progressivamente in tutta Europa, accompagnandone l’evangelizzazione.

Anche la riforma protestante lo manterrà tra le sue feste, anche se con liturgie e “segni” diversi rispetto alla chiesa cattolica. L’oriente cristiano sposterà invece l’accento delle celebrazioni sull’Epifania, la “manifestazione” di Gesù ai pagani, collocata pur sempre nel tempo immediatamente successivo alla nascita. San’Agostino, uno dei più grandi pensatori della cristianità, nei suoi discorsi sul Natale ci ricorda Chi nasce e perché: “Osserva, uomo, che cosa è diventato per te Dio: sappi accogliere l’insegnamento di tanta umiltà, anche in un maestro che ancora non parla Tu che eri uomo hai voluto diventare Dio e così sei morto; lui che era Dio volle diventare uomo per ritrovare colui che era morto.

La superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina” (Discorso 188,3). Il senso vero del Natale, dunque, va ricercato nel bambino nato, nel figlio di Maria e di Giuseppe, nell’infante di cui gli angeli cantano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli. La nascita è sempre motivo di gioia, di unità, di appartenenza, nel figlio nato il padre, la madre, la famiglia e le famiglie, si riconoscono, si riavvicinano, così nella nascita di Dio sulla terra l’uomo è chiamato a ravvicinarsi a Dio, saperlo accanto a sé. Il messaggio profondo del Natale è racchiuso nel mistero dell’amore del Dio che non si stanca del cammino dell’uomo, al contrario, quel Dio che nasce incoraggia l’uomo sulla strada dell’amore.

Con Dio tutto cambia in bene o in male con Lui o senza di Lui. La nascita di Cristo, dunque, mette in evidenza l’importanza di Dio nella storia, nella vita personale e sociale per “la comprensione di noi stessi e del mondo, per la speranza che illumina il nostro cammino, per la salvezza che ci attende oltre la morte” (Benedetto XVI). Il Natale è per antonomasia la festa dell’incarnazione, e incarnazione dice vicinanza, presenza di Dio nella storia degli uomini. Così Agostino d’Ippona diceva: “Cristo si è incarnato per farci nascere” (Discorso 371,2). Incarnazione, dunque, ci dice che Dio non è l’essere sperduto nei cieli, lontano da noi e sordo alla nostre invocazioni. E’ l’Emmanuele, il Dio con noi. In tale prospettiva la solitudine è superata, poiché il Verbo si è fatto nostro compagno di viaggio. Non occorre più cercare Dio nell’infinità del cielo, dove il nostro cuore e la nostra mente si smarriscono.

Dio, nel Verbo incarnato, nel Figlio nato, ci sta accanto, sperimenta la nostra fatica di pellegrini, la fame, la sete, la stanchezza, l’ostilità. Papa Benedetto, nel libro Gesù di Nazareth, ha scritto: “Nell’incarnazione Dio ha legato se stesso all’uomo”. Dunque, se il Natale è vicinanza che colma le solitudini e le disperazioni dell’uomo, se Natale è svuotarsi di Dio per arricchire l’uomo, se Natale è la possibilità di Dio per rendere libero l’uomo, se Natale è messaggio di un nuovo esodo, allora è bello fare Natale, è bello celebrare insieme questa festa che ci unisce e arricchisce umanamente, culturalmente e spiritualmente. Ma il Natale è anche l’esaltazione della dignità dell’uomo, della sua preziosa importanza, del suo inestimabile valore. In una società in cui tutto viene mercantilizzato, l’uomo è diventato un prodotto o al massimo un essere consumatore, che a furia di consumare ne diventa un suo irrimediabile rifiuto.

Società dei consumi e società dei rifiuti, in questo contesto la nascita di Cristo apre un varco di luce gettando sull’uomo un fascio luminoso di umanità e dignità. Scriveva nel 1968 papa Paolo VI: “Da allora, per il fatto d’una tale nascita la dignità della natura umana è stata riabilitata ed esaltata. Da allora s’è inaugurato il criterio che chi soffre, chi è piccolo, chi è povero, chi è schiavo, chi è decaduto merita cura, soccorso, rispetto, e merita maggiore giustizia. Da allora la disperazione, ch’è in fondo all’anima dell’uomo deluso e peccatore, ha avuto titolo a sperare, a rivivere. l’amore nuovo, inconcepibile e incontenibile di Dio, di Dio fattosi nostro fratello e nostro modello, nostro maestro, nostro amico, nostro salvatore e redentore, nostro capo e nostra vita, s’è riversato sulla terra, e ancora la inonda, e qui oggi fa lago, e tutti ci invade, l’amore del Natale, l’amore di Cristo” (Paolo VI messaggio di Natale 1968).

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