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CAMPOBASSO _ La bomba neo-fascista che squarciò la Stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 chiuse gli anni della strategia della tensione aperti con la strage di Piazza Fontana di Milano nel 1969. In mezzo gli anni delle lotte operaie, delle conquiste sindacali, dello Statuto dei lavoratori, delle leggi sul divorzio e sull’aborto, della riforma sanitaria, la legge Basaglia, il superamento del numero chiuso alle Università, le prime deleghe alle regioni e tante innovazioni democratiche che attuavano disposti costituzionali rimasti fermi per decenni. La strage di Bologna chiuse i conti col PCI nella sua città simbolo e lo relegò ai margini della vicenda politica nazionale.

Si aprirono col Pentapartito gli allegri anni Ottanta che spinsero l’Italia ai vertici delle classifiche mondiali sul maggiore debito pubblico nazionale. Si affermò la televisione e la politica commerciale con le clientele che sfociarono nella tangentopoli del 1992. Tra i misteri italiani, Bologna è quello più inquietante, efferato e violento. Segue la scia inaugurata a Portella della Ginestra e giunta fino alle bombe del 1993 contro il patrimonio culturale nazionale. C’è un Italia di servizi segreti deviati, logge segrete, apparati dello Stato collusi con faccendieri e di tentativi di sovvertimento delle istituzioni democratiche, che non si è mai rassegnata al libero confronto tra culture politiche che si alternano per volere del popolo alla guida del paese.

Questa Italia di Scelba, Tambroni, del Generale De Lorenzo, del Principe Valerio Borghese, Maletti, La Bruna, dei Ciancimino, Lima e Gelli, passando per Sindona, Luciano Liggio e Totò Cuffaro, non è la nostra. Per questo oggi vogliamo ricordare i morti della stazione di Bologna, perché erano vittime innocenti come quelle di Ustica, di Piazza Della Loggia e come Dalla Chiesa, Pio La Torre, Piersanti Mattarella e Aldo Moro. Noi non dimentichiamo i rischi corsi nel 1992-93 col tentativo di colpo di Stato denunciato dall’allora Capo del Governo Carlo Azeglio Ciampi e con la trattativa fatta nello stesso periodo con Riina e Provenzano perché la mafia era alla ricerca di nuovi riferimenti e di rinnovate garanzie di impunità.

Michele Petraroia

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