Il Centro di Termoli
TERMOLI _ La nozione di “città dell’uomo” non indica lo Stato, ma una realtà naturale, specificamente umana, avente per fine il bene comune, cioè il bene di tutti i suoi membri, lo sviluppo pieno di tutte le persone, al di fuori e al di sopra di qualsiasi ideologia. La costruzione di questa città è un compito, un dovere a cui nessuno si può sottrarre e “costruire”, sta a indicare un lavorare insieme. I due fattori principali che sembrano essere decisivi per tale opera sono le infrastrutture (vie di comunicazioni agevoli e sicure) e le opportunità di lavoro; da qui poi la molteplicità di servizi (commerciali, sanitari, scolastici, per il tempo libero, istituzionali/burocratici). Una città che presenta questi fattori diventa anche come il polmone di un territorio più vasto. La città oggi non è più un isola, un feudo chiuso da mura di difesa, ma si integra inevitabilmente, entra in sinergia con altre realtà e vive necessariamente di relazioni o come si dice, vive dinamicamente all’interno di una rete di cui è un nodo accanto ad altri; tanti nodi messi in rete appunto. Questi stessi fattori disegnano la figura di una città vivibile; una città è viva se gli equilibri interni resistono e si consolidano e se quelli con l’esterno garantiscono proficue interazioni. Da questo punto di vista, è come un organismo vivente, una realtà perennemente dinamica, in movimento, che riesce anche a modificarsi e ad adattarsi, quindi non un fossile inerme né un totem idolatrato, per rinnovarsi e ritrovare linfa vitale. Modifiche e adattamenti che devono sempre commisurarsi con il progresso e lo sviluppo della comunità che la costituisce.

Certo la storia a volte si ripete, ma a volte svolta in modo irreversibile e se accade non se ne può fare un dramma. La città che vogliamo è tutti una città a misura d’uomo, una città vivibile, sicura, pulita, ordinata, attenta a tutti i bisogni dei suoi cittadini, dei bambini, dei giovani, dei lavoratori, delle famiglie, degli anziani, ma prevalentemente di quelli in difficoltà, Una città invivibile è una città da cui si fugge, una città dove non si respira aria …normale, una città dove la monnezza ti sommerge, una città che non ti offre opportunità di lavoro, di sviluppo per te, per i tuoi figli, per la tua famiglia, dove fai fatica a trovare un’abitazione dignitosa a prezzi non speculativi, è una città –Leviatano, un mostro che ti schiavizza, ti costringe, ti causa stress, che ti usa e ti schiaccia e alla fine di espelle con un foglio di via, come non desiderato (vedi i tanti giovani costretti a partire per motivi di lavoro). Ci si può sentire profughi dentro la propria città, o come rifugiati perché cacciati ma costretti a restare.

Son condizioni di disadattamento e solitudine che tanti cittadini inconsapevolmente vivono nella loro città, forse perché non sono stati capaci di accompagnare le trasformazioni della società o di essere accompagnati attraverso quei cambiamenti; tante persone anziane vivono per es. senza alcun disagio gli interventi, anche pesanti, nei loro quartieri, altri invece sono rimasti legati in modo nostalgico-sentimentale a condizioni di vita che oggi nessuno più auspicherebbe. La città si trasforma, e con lei noi tutti. Tutti hanno il diritto-dovere di intervenire nel pubblico dibattito sulle trasformazioni in atto nella propria città, sulle sue prospettive di sviluppo in vista di un futuro prossimo o lontano.

É troppo facile e perfino banale parlare delle cose che non vanno nelle nostre città, non solo a Termoli; pulizia, parcheggi, traffico, vandalismi di vario genere, inquinamento ambientale, atmosferico, acustico…., mancanza di spazi verdi, a misura di bambini, problemi di sicurezza. Bisogna riconoscere però che scatta una sorta di meccanismo inconscio di individuo/ambiente, dimostrato dalla psicologia, che può essere definito mimetico. Se tutto intorno a me dice ordine e pulizia sono istintivamente portato ad adeguarmi; se cammino su un marciapiede pieno di cartacce e sporcizie varie, non mi faccio scrupolo a ‘contribuire’ a sporcare ulteriormente; è la normalità che mi attrae, mi risucchia quasi in modo perverso.

Se entro in una scuola con pareti, e arredi pulitissimi e in perfetto stato, scatta lo stesso meccanismo del mimetismo; imito quell’ordine, quella pulizia. C’è insomma un’interazione tra abitante/utente e luogo abitato, una sorta di condizionamento educativo/diseducativo. Quando si parla di responsabilità amministrative in ordine a tanti aspetti di una città non si deve dimenticare che esse determinano anche i comportamenti dei cittadini e, nello stesso tempo, le scelte dei cittadini influenzano e sollecitano le scelte amministrative.

Eppure in questo reciproco scambio di condizionamento, ascolto e di attenzione si attua quella proficua collaborazione che è la ricetta migliore per la gestione della cosa pubblica. Quelli che vengono chiamati ad amministrare hanno ottenuto un consenso a fronte di proposte concrete di sviluppo e gestione della città; hanno ascoltato, recepito, raccolto istanze di tante categorie di cittadini, le hanno vagliate e hanno stilato un programma. La città, a maggioranza, ha detto di sì. É a questo punto che si attua e si realizza quanto proposto pubblicamente e liberamente condiviso.

Cinque anni non sarà un periodo sufficiente ma un lasso di tempo in cui si possono fare molte delle cose indicate. I cittadini sono chiamati a vigilare, a verifica e giudicare; le libere associazioni esprimono le loro perplessità, suggerimenti, il plauso anche, partecipano attivamente al cammino della stessa amministrazione che deve ascoltare e dialogare con tutti (simpatizzanti e non) e deliberare (è il suo dovere) tenendo presenti tutti i fattori. Qual’è l’ideale? Che l’amministrazione abiti in un palazzo di vetro, trasparente, e che i cittadini si facciano carico delle loro responsabilità perché i veri e profondi cambiamenti non cadono mai dall’alto ma vanno sempre condivisi.

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