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TERMOLI – Io, figlio di Rachele e Giacobbe. Ti ho tanto amata, madre, con pudore, non riuscendo mai a esprimere con i gesti e le parole quel sentimento profondo che provavo per te. E anche tu, silenziosa e riservata, accudivi la nostra famiglia, nostro padre, noi figli, dispensando poche carezze e poche parole, però sempre presente ai nostri bisogni.Rachele, madre, noi due lo sappiamo, noi due legati da un affetto intenso, io figlio tuo prediletto, così simili nel carattere e nei lineamenti. Sono sempre stato un bambino e un ragazzo solitario, un pò appartato.
Mi piaceva rientrare a casa dopo aver fatto la strada più lunga, solo, assorto a guardare la natura così bella e così diversa secondo le stagioni; trovarti intenta alle tue faccende, e i nostri sguardi che si sorridevano, e c’erano i nostri cuori in quel silenzio nostro. E la tua fede in Dio, seppure anche tu colpita dalle inevitabili prove dell’esistenza umana, e la tua preghiera intima e incessante, quasi un colloquio privato con il Signore.
Giacobbe, padre, uomo giusto e onesto, d’una onestà che con l’esempio l’ hai trasmessa anche a me, mi hai dato e hai dato ai miei fratelli un’educazione rigorosa, severo nel giudicare i nostri comportamenti. Orgoglioso del mio lavoro, mi avevi dato la tua benedizione quando avevo affrontato il cammino verso Nazareth per avere maggiori opportunità; tu, padre, che guardavi a me come a un figlio serio, responsabile, ma con stupore e probabilmente con una certa delusione, ti chiedevi quando avrei maturata la decisione di formare una famiglia, darti una discendenza. Eccomi, padre, dinnanzi al tuo ricordo a srotolare la mia vita, ciò che è stato. Tuo figlio raggiunto dal volere del Signore non ha generato un figlio, ma è stato padre, profondamente padre, del Dio Incarnato.
Giuseppe.
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