AmatricianaLarinoTERMOLI – Il post su Facebook di un mio amico, che da un canto limita la portata della presenza del volontariato sui luoghi del disastro e dall’altro esalta la bontà sociale delle cene di solidarietà a base di amatriciana, mi ha dato il destro per attingere alla memoria ricordi della mia giovinezza.

Ordunque, sbaglierò, ma sono convinto che la solidarietà espressa facendo ricorso a cene e libagioni non sia delle migliori. Mi ricorda le cene di beneficenza organizzate dalle varie associazioni che con la scusa di raccogliere fondi per i poveri costituivano il momento per far sfoggiare alle signore i vestiti firmati. Alla fine della giostra si raccoglieva il milione, ma di tale importo ai poveri arrivavano mille lire, se non meno. Il resto serviva per coprire le spese.

Preferisco la solidarietà dei giovani, che pur senza esperienza in attività di soccorso, hanno sentito il bisogno, hanno avuto la voglia di partire per… dare una mano. Una volta arrivati sul posto non hanno potuto fare niente, forse sono stati di intralcio ai professionisti, ma avevano dentro di sé il fuoco della solidarietà, il fuoco della speranza. Scusatemi, ma io mi rivedo in questi giovani, rivedo il giovane che il 5 novembre del 1966, parti con altri sei giovani da Napoli per raggiungere Firenze colpita dall’alluvione. Tra di noi c’era una coppia di ragazzi greci, entrambi studenti di ingegneria, lui Kostantinos Mpoiros, lei jhoanna, la sua ragazza. Impiegammo quasi due giorni per il viaggio, con indosso l’eskimo e con in spalla il tascapane, dentro al quale c’erano solo i panini sottratti alla mensa universitaria, due bustine li latte a forma di piramide e un paio di stivali a mezza gamba, raccattati a Forcella.
All’epoca non c’era la protezione civile. Solo l’esercito e le forze di polizia erano impegnate sul posto. Dormimmo all’adiaccio. Festeggiai il mio compleanno, i miei venti anni, con la faccia incrostata di fango, con le mani screpolate, mangiando una razione Kappa messa a disposizione dall’esercito. Non sapevamo che in quei momenti stavamo vivendo, eravamo i protagonisti di una delle pagine emblematiche della storia d’Italia della seconda metà del XX secolo. Ci animava una passione, una dedizione struggente. Volevamo salvare i libri, le opere d’arte , la nostra storia, la nostra identità.

Voglio ricordare quello che scrisse Grazzini sul Corriere della sera: “Chi viene anche il più cinico, anche il più torpido, capisce subito […] che d’ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare dei sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù […] oggi ha dato, […], un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango.

Antonio De Michele

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