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TERMOLI _ Sento la necessità, in qualità di giornalista che ha operato e vive in questo territorio, di mettere in evidenza alcune antipatiche “anomalie”, chiamiamole così, che si stanno verificando nel mondo del giornalismo locale durante il periodo della campagna elettorale. Sia per sentito dire in via diretta da moltissimi candidati, sia perché mi sono trovato direttamente a contatto con tali episodi, in questi giorni stiamo assistendo a un vero e proprio mercimonio dell’informazione, che nell’anno di grazia 2010 ha raggiunto livelli mai visti sulla costa (e speriamo solo qui). Funziona così: alcuni giornalisti, spesso pressati impropriamente e scorrettamente dai propri editori, vanno dai candidati o dai partiti (o dai rispettivi addetti stampa) e propongono un’intervista, un articolo, un approfondimento, un doppio paginone centrale in cui parlare di loro, ovviamente mettendone in evidenza i pregi e le virtù e tralasciando eventuali particolari “scomodi”.

Se il candidato accetta, i giornalisti scrivono e fanno pubblicare l’ “articolo” al proprio editore, che intasca un corrispettivo attraverso i cosiddetti “pre-venduti”, cioè un numero di copie acquistate (a seconda della dimensione dell’articolo e, a volte, della disponibilità finanziaria del candidato) che può andare dalle 50 alle 300, o anche più in occasioni specialissime come i super-eventi o i rush finali degli ultimi giorni. Insomma, un tanto al rigo e ti incarto la notizia. Se poi sforo e l’editore mi sgrida, magari ci rifacciamo alla prossima intervista con qualche pre-venduto in più.

Molti direbbero: “ma è sempre stato fatto così”, “ma il mondo gira così”, “ma lo fanno tutti”, “ma perché ci scandalizziamo?”, eccetera eccetera, continuando col solito finto-cinismo italico che ormai ci ha fatto diventare tutti esperti di vita vissuta e però assai scleroticamente apatici e tristemente rassegnati. Ogni azienda editoriale, ovviamente, attua una serie di iniziative commerciali per vendere il proprio prodotto, e fin qui nulla di male, anzi. C’è un problema, però: il giornalista non può svolgere la pur nobilissima attività “commerciale”, pena sanzioni severissime dall’Ordine Professionale. E questo per una serie di motivi che stanno sotto gli occhi di tutti, primo fra tutti l’obbligo, da parte del giornalista, di rendere la notizia quanto più obiettiva possibile, e quindi scevra da elementi potenzialmente condizionanti com’è, appunto, la pubblicità commerciale.

Un obbligo, una responsabilità che il giornalista deve esercitare esclusivamente verso i cittadini, a garanzia di un’informazione corretta e non ingannevole. Non entro nei particolari, perché di questo certamente non devo occuparmene né io né l’organismo sindacale al quale sono iscritto (la Federazione Nazionale della Stampa Italiana), bensì l’Ordine dei Giornalisti, che opera proprio in questa direzione, e cioè tutelando la correttezza e la deontologia professionale, intervenendo laddove necessario. Proprio per questo non vado oltre, volendo infine rivolgere alcuni appelli affinché si ponga una regola a una prassi sbagliata che sta purtroppo diventando “sistema”, se non, nei casi più estremi, coercizione (“lo fanno tutti, devi farlo anche tu”):

1) Agli amici colleghi, pubblicisti e professionisti, affinché rifiutino di prestarsi a un lavoro che non solo non compete loro, ma che ne svilisce il ruolo e soprattutto la professionalità, presente e futura;
2) All’Ordine dei Giornalisti del Molise, affinché intensifichi con decisione la vigilanza e le sanzioni, soprattutto in questi ultimissimi scampoli di campagna elettorale;
3) Ai cittadini candidati: non sentitevi costretti a comprare 300 copie di un giornale che poi non saprete a chi far leggere, e soprattutto non abbiate paura ad esigere chiarezza e correttezza dai vostri interlocutori che svolgono il mestiere di giornalista.
4) Agli editori: per i pre-venduti utilizzate la struttura commerciale o pubblicitaria, che è cosa ben diversa dalla redazione giornalistica (che si dovrebbe occupare di altro), e soprattutto, quando fate scrivere articoli che in realtà articoli non sono, bensì “pubbli-redazionali”, metteteci l’indicazione (d’obbligo) “Informazione Pubblicitaria”, in modo da non ingannare più i vostri lettori.

Perché, in fin dei conti, come sempre accade in queste storture, oltre ai giornalisti che si prestano, spesso costretti, a tali pratiche, sono i lettori quelli che ci rimettono. Quei lettori che permettono ai giornalisti di fare il proprio mestiere e agli editori di continuare a stare sul mercato, e che quindi, al pari dei cittadini candidati, meritano rispetto.

Gianmarco Guazzo

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