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TERMOLI – E’ appena uscito un volume sull’artista di fama nazionale HUGO ORLANDO nato nel 1910 a Ripabottoni e morto a Termoli nel 1993. Fondatore con Achille Pace del Premio CASTELLO SVEVO. A venti anni dalla sua morte, un volume a cura di Venanzio Raspa raccoglie i suoi scritti. Si tratta per lo più di discorsi rivolti a un pubblico, che permettono, a chi lo conosceva, di riascoltarlo, ad altri, di incontrarlo per la prima volta.

I testi coprono un arco di tempo che va dal 1965 a dopo la metà degli anni ’80. Nella prima sezione, intitolata Saggi, sono raccolti scritti di teoria e storia dell’arte, nella seconda le Lezioni radiofoniche trasmesse da Radio TRT nel 1982, nella terza sezione, Riflessioni, appunti, abbozzi, si leggono estratti e annotazioni risalenti a diversi periodi di tempo. L’ultimo testo della raccolta, la Dichiarazione di poetica, introduce a una serie di tavole, 21 quadri di Hugo, che chiudono il volume. In questi testi, richiamandosi ai teorici della pura visibilità e del formalismo estetico, in particolare a Konrad Fiedler e Clive Bell, Hugo Orlando espone le sue concezioni sulla storia dell’arte, il ruolo dell’artista nella società, l’emozione e la fruizione estetica.

Egli è consapevole, e non manca di sottolinearlo più volte, che le sue teorie sono maturate non tanto attraverso lo studio, quanto con una lunga pratica artistica. Chi parla è un pittore, che espone il proprio giudizio sulla storia dell’arte dall’interno. Non lo scrive, ma non si va molto lontano dal vero se si dice che, secondo Hugo Orlando, l’artista è colui che a pieno titolo può parlare di arte. Ma essere artista richiede non l’iscrizione a un albo, bensì che si ami e pratichi un’arte. Pratica un’arte – è questo il messaggio che lancia Hugo –aiuta a comprendere l’arte. Egli invita a cimentarsi con l’arte – e per questo ha collaborato attivamente alla scuola d’arte. Secondo Hugo Orlando, l’arte è evento individuale e sociale, ambito dello spirito umano che si sviluppa, oltre che per una sua dialettica interna, in rapporto alla riflessione filosofica e a seguito di un forte impegno etico da parte dell’artista.

Nell’opera d’arte questi esprime l’indistinto, l’incerto, ciò che, per la sua complessità, non si lascia afferrare compiutamente. È una ferma convinzione di Hugo che l’arte concorra, insieme alla scienza, a estendere e approfondire la conoscenza: senza di essa un intero lato del mondo sarebbe perduto per l’uomo. Ma per raggiungere una creazione autonoma non ci si può affidare alla sola spontaneità, perché se è vero che vedere è conoscere, è anche vero che la conoscenza del mondo – nel caso della pittura, la visione del mondo – non è un fatto puro o neutrale. «Noi vediamo ciò che impariamo a vedere». Queste tesi teoriche trovano riscontro, a cavallo fra ’800 e ’900, nella ricerca di nuove soluzioni pittoriche. Nei suoi discorsi, Hugo Orlando ci fa ripercorrere un pezzo di storia dell’arte, da Cézanne a Masson, dalla critica del naturalismo alla pittura informale. In passato, molta pittura ha rappresentato il visibile, la visione del mondo era legata alla rappresentazione della realtà e delle apparenze della natura.

Con la critica del naturalismo è nata un’arte svincolata dalla rappresentazione della natura. Ciò ha avuto una portata liberatoria per l’artista, poiché liberava l’immaginazione e qualsiasi creazione della mente dai lacci imposti loro dall’ordine naturale delle cose. E tuttavia l’«aderenza alla terra» non è andata smarrita nemmeno con l’arte informale, che conserva una relazione con una duplice realtà: quella dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera e quella sulla quale l’artista forma tali mezzi. Sono ‘reali’ non soltanto gli oggetti sensibili, le materie utilizzate, ma anche lo spazio, la luce, i segni, le forme che l’artista traccia e imprime sulla tela.

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