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TERMOLI _ La quaestio del crocifisso esposto nei luoghi pubblici non è una novità dell’ultima ora in quanto è da quasi un decennio che filosofi, giuristi, teologi e sopratutto i mass media si sono interessati dell’argomento. Difatti, a mero titolo di esempio, già la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4273 del 1° marzo 2000, aveva ritenuto contrario al principio di laicità dello stato la presenza di un crocifisso nelle classi quando queste diventavano urne per le elezioni politiche. Forse più famosa è anche l’ordinanza del 23/ottobre/2003 emessa dal tribunale dell’Aquila, la quale disponeva in via cautelare la rimozione del crocifisso esposto in una scuola pubblica, sul presupposto che la presenza di tale simbolo nelle aule scolastiche comunicasse un’implicita adesione a valori che non sono comuni di tutti i cittadini, ridimensionando di fatto l’immagine pluralista dello stato costituzionale. Di contro, sempre senza avere alcuna pretesa esaustiva o sistematica sull’argomento, vi è stata la sentenza n. 1110 del 17/marzo/2005 del tribunale amministrativo della regione Veneto, che in buona sostanza ha ritenuto che il crocifisso fosse allo stesso tempo simbolo della storia e della cultura italiana e quindi dell’identità del nostro paese, senza che ciò compromettesse il principio della laicità dello stato. In questo contesto di palese incertezza giuridica è intervenuta la sentenza n.30814 del 3/11/2009 emessa dalla Corte dei diritti dell’uomo. Va premesso che detta “Corte” rappresenta in sintesi l’organo giurisdizionale posto a tutela della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, firmata proprio a Roma il 4/11/1950, in cui ciascun stato aderente, tra cui l’Italia, ne ha riconosciuto i principi e garantito l’applicazione reale a ciascun singolo cittadino. La sentenza in esame, dopo aver ripercorso in modo chiaro i fatti ed il diritto nazionale operante, ha lucidamente riconosciuto che la scuola pubblica non dovrebbe essere un teatro di attività di proselitismo o predicazione, ma un luogo di confronto di varie religioni e convinzioni filosofiche, dove gli allievi possano acquisire conoscenze sulle diverse tradizioni culturali.

Prosegue la Corte ritenendo che la “Convenzione dei diritti dell’uomo” (e relativi protocolli aggiuntivi), proibisce agli stati aderenti di perseguire forme di indottrinamento che non rispettino le convinzioni religiose e filosofiche dei cittadini, implicando il diritto di ciascuno di credere in una religione, come di non credere in alcuna. Difatti, uno stato laico e democratico, in cui tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge ( art. 8 della Cost. Ital.), ha il dovere di neutralità ed imparzialità per garantire al massimo il pluralismo di tutte le confessioni religiose ivi presenti. Ebbene, la sentenza in esame ha affermato che il crocifisso pur potendo avere una pluralità di significati quello religioso fosse comunque predominante e come tale venisse percepito dagli alunni. In sintesi conclude la Corte che la laicità dello stato, nel quadro dell’istruzione pubblica obbligatoria, non si deve limitare alla volontarietà dell’insegnamento della religione cattolica ma deve estendersi anche al divieto di praticare riti o esporre simboli legati a qualunque religione o all’ateismo.

Con estrema sincerità, da credente, non ho compreso come questa sentenza chiarificatrice, abbia generato una levata di scudi e lo strappo delle vesti da parte di personaggi del mondo cattolico. Si è sostenuto a strenua difesa, che il crocifisso appeso in una “parete pubblica” rappresentasse il simbolo della cultura italiana e finanche un messaggio universale a tutti gli uomini delle diverse nazioni e delle relative tradizioni. Ora, pur sentendomi orgogliosamente italiano, non riesco sinceramente a convincermi che la croce possa rappresentare l’intera sintesi della cultura del nostro popolo, tralasciando per esempio l’età illuminista e la conseguente rivoluzione francese i cui principi sono posti a fondamento dello stato moderno, che ha di fatto superato la concezione di uno stato monarchico-confessionale. Ebbene, a mio umile parere, se non si vuole sminuire il valore spirituale e religioso della croce, occorre prendere atto delle reali diversità di culture e sensibilità presenti in Italia come in Europa e considerare il fenomeno religioso come un atto individuale di vera libertà, privandolo da qualsiasi costrizione diretta o indiretta. Per cui, come Gesù stesso ci insegna nella parabola contro i farisei e dottori della legge ,” non ci si deve tanto preoccupare dell’esterno della coppa” ma occorre aver riguardo alla Giustizia e all’Amore, aggiungo per la Libertà (che per noi credenti è un dono di Dio), che tanti sacrifici comporta nel difenderla.

Avv. Simone Coscia
Consigliere comunale (gruppo civico Partecipazione Cittadina)

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1 commento

  1. crocifissi e crocifissori …
    Grazie Avvocato per le tue riflessioni.
    Se qualche “croce” venisse tolta da qualche parte o parete, “io” non farei parte di quelli che si straccerebbero la veste … è già stracciata. Condivido l’idea che la sentenza di una corte, per quanto autorevole, non possa svendere il contenuto di un simbolo e non mi pare che volesse fare tanto; piuttosto, ha fatto un po’ d’ordine nelle regole. Anzi, mi sembra una buona occasione per quanti si sono affrettati a “stracciarsi le vesti”, per riflettere su come, sui banconi di supermercati nazionali ed internazionali, il