TERMOLI _ Facendo seguito a quanto già scritto su questo sito a proposito del Crocifisso nelle aule scolastiche, ritorno sulla questione proponendo una riflessione sul tema della cosiddetta laicità. Sicuramente si impone un ripensamento complessivo anche a causa della rapida transizione epocale che stiamo vivendo e che ha nel fenomeno in atto, non privo di drammaticità, di ‘meticciato di civiltà e di culture’, uno dei luoghi più spinosi. Le questioni relative alla interreligiosità hanno cambiato i termini della discussione tradizionale e nostrana sulla laicità. Accanto e oltre il peso delle problematiche classiche che erano per lo più concentrate nel rapporto Stato-Chiesa, oggi i temi che confluiscono nell’ambito della laicità sono più numerosi e più articolati. A tal punto che si sente il bisogno non solo di ripensare questa delicata categoria, ma addirittura di pensarne nuove forme, nella prospettiva di percorrere una strada di una pacifica convivenza in cui raccontarsi per riconoscersi diventi la regola per una vera democrazia. La vita della società civile richiede un continuo e progressivo riconoscimento delle differenze da parte delle identità sempre in relazione. Relazione, reciproco riconoscimento dato dall’uno all’altro, sono le dimensioni strutturali e costitutive della società civile, che come tali non dipendono da nessun potere superiore. Perciò esse esigono che la società civile possa svolgere la libera dialettica dei suoi rapporti tra identità differenti, sia individuali, sia associate, che hanno appartenenze, tradizioni culturali, interessi materiali e ideali diversi; oggi, sempre più, anche etnie e religioni diverse. Però tale relazione di riconoscimento può prestarsi alla promozione come alla manipolazione, alla custodia come alla cattura dell’altro. Per questo la società civile ha sempre bisogno di darsi un’istanza superiore, mai sostitutiva, ma regolativa della sua vita relazionale, del suo fisiologico pluralismo, istanza regolativa che nella modernità è lo Stato. In quanto istanza superiore, lo Stato deve essere laico, secondo la terminologia ormai in uso. Ma cosa debba significare laicità? La non identificazione con nessuna delle parti in causa, cioè dei loro interessi e delle loro identità culturali, siano esse religiose o laiche.

Tuttavia, in forza della sua stessa funzione, stato laico non è sinonimo di stato ‘indifferente’ alle identità e alle loro culture. Soprattutto non può essere e, di fatto, non è mai indifferente ai valori della tradizione nazionale prevalente cui esso fa storicamente riferimento, come dimostrano le diverse ‘storie costituzionali’ degli stati, né si mostra ‘neutrale’ nei confronti dei suoi valori fondanti. Tale neutralità non va confusa con la non-confessionalità; tale confusione genera un’interpretazione errata della laicità dello stato. Una tendenza attuale però interpreta la laicità dello stato in questi termini: se lo Stato è laico anche tutta la sua legislazione deve essere laica cioè assiologicamente neutrale e neutrale anche di fronte a quei valori della tradizione nazionale prevalente sui quali storicamente e culturalmente si fonda. Una tale argomentazione si fonda sulla supposizione che lo Stato debba avere una legislazione neutrale, ma in effetti tale non è perché comunque si ispirerebbe a valori diversi. Lo Stato protegge il libero dibattito delle idee, dei valori e delle proposte culturali, sociali e quant’altro, ma non è indifferente al risultato del confronto democratico tra le parti, al contrario lo assume.

Infine, a decidere è il popolo, con la sua storia e la sua sensibilità e le sue radici culturali, direttamente o attraverso i suoi legittimi rappresentanti nel rispetto dei diritti ma anche dei doveri sanciti dalla Costituzione. Questo deve mettere in moto la virtuosa e realistica ricerca del modo migliore per salvare il diritto di ogni minoranza. In questa logica, come è giusto esigere da etnie, tradizioni religiose o areligiose che sono minoranza, il rispetto della carta costituzionale, anche quando non è conforme al loro punto di vista, così, in base a questo sano concetto di laicità, non pare contraddittorio chiedere qualche rinuncia a una minoranza che pretenda un riconoscimento giuridico-legislativo non condiviso dalla maggioranza.

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2 Commenti

  1. precisazione
    Condividendo il Vs. concetto di laicità, le conclusioni cui pervenire sono esattamente opposte. Ossia, è la maggioranza che deve rinunciare a qualche pretesa etico-giuridica,e ciò a tutela effettiva delle Minoranze stesse.

  2. riposta all’avv. Coscia
    Rigraziando per l’attenzione, preciso che il fenomeno del meticciato richiede un mutuo riconoscimento delle differenze; ciò vuol dire (in democrazia) reciprocità di comportamenti, anche nelle rinunce. Riconoscersi significa farsi spazio, cedere ciascuno parte del proprio spazio all’altro. Ma l’istanza regolativa superiore (lo Stato), che ha il compito di garantire la tutela effettiva dei diritti fondamentali di ogni persona, credo non possa accettare che qualcuno avanzi pretese etico-giuridiche contro i diritti fondamentali di una persona, di una minoranza o della stessa maggioranza.