Laus Mari: Michele Placido e Kim Rossi Stuart
TERMOLI. Entusiasmo, genialità e innovazione gli ingredienti vincenti che premiano l’idea di un fuoriclasse come Stefano Leone.

Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscío che fan le foglie del gelso ne la man di chi le coglie silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta su l’alta scala che s’annera contro il fusto che s’inargenta con le sue rame spoglie…”
Con i versi di “La sera fiesolana” di Gabriele d’Annunzio, recitati da Michele Placido, si apre lo spettacolo Laus Mari, tenutosi ieri sera sulla spiaggia del lido balneare di Termoli Buena Vista Social Club. Con le onde a fare da sottofondo musicale, Placido va avanti con la sua recitazione estremamente eclettica, passando dai versi nostalgici della poesia d’apertura a quelli narratori e coinvolgenti de “I pastori” di “Gabriellino”, nome con il quale, gioiosamente, l’attore e regista si   rivolge al poeta abruzzese. Ad accompagnare il pluripremiato attore c’è il quartetto d’archi diretto dal fisarmonicista Davide Cavuti: la musica è quella dei tanghi di Astor Piazzolla, eseguiti da due ballerini della provincia di Foggia, Romeo e Cecilia Carbone.

Come se fosse egli stesso un direttore d’orchestra, Placido intervalla la recitazione di poesie con commenti sull’attualità, spaziando dall’elogio al presidente Sarkozy per la predominanza data alla cultura nel suo gabinetto alla presentazione del suo nuovo film, “Il grande sogno”, del quale ci fa ascoltare parte della colonna sonora eseguita dai musicisti del maestro Cavuti.
Proseguendo nel suo ruolo di presentatore, l’attore pugliese chiama sul palco Kim Rossi Stuart. Dopo un breve riassunto della carriera dell’attore, viene donata al pubblico una chicca del suo nuovo lavoro: egli sta infatti lavorando ad un film tratto dal libro “Il fiore del male” che narra la storia di Renato Vallanzasca.
Immediata, la poesia torna a calcare il palcoscenico: questa volta sono le parole di Neruda ad accogliere gli spettatori con i versi de “La notte nell’isola”. Quindi, interviene un nuovo intermezzo musicale, accompagnato di nuovo dalla danza dei fratelli Carbone.
Il ritmo dello spettacolo si fa più veloce ora: fa il suo ingresso Katia Ricciarelli, che subito esegue due pezzi diversissimi tra loro, uno della tradizione napoletana e uno della scuola jazzista americana.

Laus Mari: Katia Ricciarelli
Laus Mari: Katia Ricciarelli

Qualche battuta scambiata con Placido, il quale la congeda con fare scherzoso (“Sì Katia, puoi andare!”), e lo spettacolo riprende: altro intermezzo musicale, altra poesia declamata da Kim Rossi Stuart (“Mi piaci quando taci”, di Neruda anch’essa), altri balli, altri soliloqui del regista pugliese, tra cui un tenero ricordo dell’attore Massimo Troisi.
Durante tutto lo spettacolo, il suono della risacca non smette di essere una naturale colonna sonora agli artisti: sembra che lo sciabordio aumenti quando il ritmo delle note o delle declamazioni si fa incalzante, e che divenga più dolce quando il ritmo diviene più lento, più delicato. Al canto del mare si unisce l’eco delle voci e dei canti, che sembra voglia portare indietro le parole, i versi, le musiche, forse per farli ascoltarle ancora una volta, per farli assorbire meglio dal pubblico, lasciandoli sospesi sulle teste dei presenti, come se ognuno, allungando una mano verso l’alto, potesse prenderne un pezzetto e portarselo a casa come un ricordo.
L’apice della serata è raggiunto quando Placido, colmo delle emozioni della serata, recita a memoria parte del canto V dell’Inferno dantesco, entrando con alternanza nelle parti di Paolo e Francesca, di Dante e Virgilio, lasciando gli spettatori attoniti e scatenando un applauso che sembra non voler aver fine.
Un breve intermezzo è rappresentato dall’intervento di due giovani molisani, Luca Basilico e Antonella Pacifico, chiamati dal Direttore artistico Stefano Leone sul palco per declamare due poesie, rispettivamente di Montale (Mediterraneo) e di Baudelaire (L’uomo e il mare). Siamo quasi alla fine e Stefano Leone interviene di nuovo per premiare Fredy Luciani, un artista abruzzese ma termolese d’adozione, famoso per le sue opere pittoriche, con un delfino d’argento. Di nuovo, tornano sul palco i due fratelli Carbone per un ultimo tango, sempre accompagnato dalla musica del maestro Cavuti e degli archisti. Per il gran finale torna sul palco il soprano veneto, che unisce alla recitazione di Placido il suo canto: eseguono insieme “O sole mio”, con Placido che recita le strofe e la Ricciarelli che intona il ritornello. L’ultimo saluto ce lo dona con “Non ti scordar di me”, chiedendo al pubblico di non scordarla dopo quella serata così ricca ed intensa.
 Gli spettatori chiedono a gran voce un bis, che viene offerto loro dal ritorno sul palco dei due ballerini, impegnati in un sensuale ed avvolgente “Libertango”, di Astor Piazzolla. Stefano Leone torna quindi sul palcoscenico, invitando vari amici a raggiungerlo. Ai tre artisti sono consegnati dei fiori e due libri: uno “Humanitas”, a cura di Stefano stesso, mentre l’altro, “Matizje in the world”, di Saverio Metere. Ormai lo spettacolo è concluso, ma Michele Placido vuole regalarci un’ultima poesia, ”Il silenzio” di Edgar Lee Master, che ha voluto dedicare ai ragazzi morti in Abruzzo, in particolare agli studenti deceduti in seguito al crollo della casa dello studente dell’Aquila: “il loro silenzio avrà spiegazione quando li avremo raggiunti”.

Dunque appuntamento al prossimo anno, sperando che tutto il mondo istituzionale sia di supporto alle tante iniziative che Stefano Leone ha messo in piedi. Il pubblico ha gradito, ha applaudito. Stefano ha dato tutto se stesso e siamo certi che lo farà ancora. C’è solo da ridare alla cultura lo spazio e l’attenzione che merita, a tutti i livelli. Non dimentichiamolo!

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