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Oreste CampopianoTERMOLI _ In una città militarizzata, preda di scorribande da vera e propria guerriglia urbana, lo scorso 14 dicembre si è celebrata una pagina certamente non esaltante della storia parlamentare italiana. Il Governo ha ottenuto una fiducia risicata, maturata tra insulti, urla, cori da stadio, condivisioni e dissensi. Una fiducia che se è vero che ha dato al Governo la formale legittimazione a proseguire il cammino, ha di fatto ingessato la legislatura, esponendo al rischio quella prospettiva riformatrice che aveva caratterizzato la nascita di questa maggioranza politico-parlamentare.

Qualunque abbia ad essere la chiave di lettura, i fatti di questi mesi hanno oggettivamente stravolto il quadro di riferimento: il centro destra, che nell’aprile 2008 è uscito vincitore dalle urne con largo margine e con chiarissimo mandato, non esiste più, almeno nelle iniziali connotazioni; il PDL, partito di maggioranza relativa, non è più quello che era solo un mese addietro; la maggioranza di tre deputati (314 a 311) è stata ottenuta solo grazie ad alcuni transfugfhi del PD, di FLI e niente meno che dell’IDV, i quali hanno evidentemente tradito il mandato affidato dal loro elettorato. Questo è, lo si voglia o no, il quadro complessivo di un sistema, che ancora una volta ha manifestato i suoi limiti intrinseci e le sue strutturali debolezze. Francamente non mi pare operazione utile alla governabilità del Paese, nell’auspicata prospettiva riformista, quella di acquisire qualche ulteriore transfuga in cerca di stabilità personale.

Né mi pare pensabile che l’attuale maggioranza possa essere allargata ai centristi o all’UDC, senza offrire qualcosa di veramente innovativo in termini politico-programmatici, con il concreto rischio di stravolgere i già fragili equilibri esistenti. Un dato è però certo: il voto di fiducia del 14 dicembre ha rimesso nelle mani del Premier le determinazioni circa gli eventi prossimi futuri che, presumibilmente, verranno influenzati da fatti esterni quale la decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento o il percorso parlamentare della normativa di attuazione del Federalismo, tanto caro alla Lega.

Se da un lato è indiscutibile che il particolare momento economico del Paese impone senso di responsabilità alle forze politiche, è altrettanto vero che il clima di instabilità e di conflitto non giova certamente alle istituzioni ed alla attuazione delle riforme promesse. Allora non resta che il ricorso alle urne, rimettendo al popolo sovrano la facoltà di indicare la rotta. In alternativa non vi sarebbe altro che l’ulteriore logoramento del quadro politico e sociale del Paese che, per dirla con il Foscolo, sarebbe il definitivo “sepolcro” della democrazia.

Avv. Oreste Campopiano
Segr. Reg. N. PSI Molise

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