TERMOLI _ La clamorosa iniziativa governativa sul rientro dal deficit sanitario del Molise rende evidente, a prescindere dal le soluzioni finali che saranno intraprese, lo stato di grave crisi in cui versa l’economia e la finanza pubblica regionale. E questa organizzazione che per prima ha lanciato il grido d’allarme sulla questione e ha segnalato le conseguenze disastrose per i cittadini e le imprese del deficit sanitario non è certamente stata colta alla sprovvista dalle ultime evoluzioni. Doveva succedere ed alla fine è successo. Quello che colpisce è come, di fronte all’evidenza drammatica di una situazione ormai fuori controllo, si possa ancora pensare di dimensionare il problema ad una condizione tutto sommato ordinaria, risolvibile con un tagli e cuci tra letti di ospedale e presidi sul territorio. La situazione invece normale non lo è affatto e forse non lo è mai stata. Se è vero, come è vero, che i costi del sistema sanitario nel Molise per strutture geografica e dispersione demografica sono più alti rispetto ad altre regioni, il deficit pro capite del Molise è di tale portata da non consentire più alcuna riflessione accademica o di pacata esplicazione del contesto socio economico molisano. I soldi non ci sono e qualcuno, il Governo regionale in primis dovrà pur trovarli.

La gestione “politica” del sistema sanitario ha reso il tutto talmente costoso da non poter essere più sopportato da una popolazione a ridotta dinamicità imprenditoriale di appena 300.000 anime. Va peraltro precisato che le responsabilità non sono esclusive del Governo regionale attuale, anche se allo stesso sono da addebitarne una fetta importante non fosse altro che per il lungo periodo di tempo nel quale ha gestito la cosa pubblica. Ma è anche vero che l’attuale Governo regionale non ha sin qui saputo o voluto dare una risposta forte ad una condizione non più sostenibile preferendo più semplicemente fidare nella “provvidenza divina”, nella misura proporzionale in cui Dio sta agli uomini come lo Stato sta agli enti locali. Non c’è sin qui stato il punto di flesso, l’inversione di tendenza che poteva anche giustificare una rimodulazione progressiva dei costi sanitari molisani. In pratica se non si inverte la rotta non si può più continuare a chiedere credito al fornitore di risorse (il Governo italiano).

Che fare a questo punto? Crediamo innanzitutto che la strada dell’imposizione fiscale sulle aziende e sulle attività imprenditoriali non sia percorribile, così come riteniamo un errore gravissimo l’utilizzo dei fondi destinati alle infrastrutture locali, i cosiddetti Fas, per sanare deficit derivanti da spese di parte corrente. A pagare anche in questo caso sarebbero le imprese locali che già in difficoltà e alle prese con una gravissima crisi economica si vedrebbero ulteriormente penalizzate dall’impossibilità di poter contare su infrastrutture di interesse strategico. La Confcommercio pensa allora che, anche per ragioni di assunzione di responsabilità consequenziali, lacrime e sangue vadano versate da tutti i cittadini molisani, indipendentemente dal loro status economico e giuridico. Dagli stessi cioè che hanno sempre preteso e tuttora pretendono l’ospedale sotto casa, affiancando e supportando la politica nei propri errori.

E questo riguarda la stessa opposizione, salvo lodevoli eccezioni, rinchiusa in una dimensione miope e strumentale che per ragioni elettorali continua a mobilitarsi non per un progetto strategico di respiro regionale ma per difendere il “proprio”’ospedale. E come se in un presenza di un acquedotto colabrodo ciascuno di noi si impegnasse e protestasse al solo fine di riparare la falla sotto il proprio naso, infischiandosene del problema idrico nel suo complesso: l’unica cosa nei fatti importante. Non è affatto giusto che a pagare siano gli imprenditori (che già pagano un Irap più alta del 23%) che da soli hanno lanciato l’allarme sulle condizioni complessiva della sanità molisana, ma è più giustificabile che sia chiamata a pagare l’intera popolazione molisana. Dovrà risponderne una popolazione che ha ritenuto di ignorare in ogni modo la gravità della situazione (in questo agevolata anche da un’opposizione senza lungimiranza) e che non ha voluto prendere consapevolezza di una situazione non più sostenibile. Ecco perché la manovra fiscale dovrà essere incentrata sull’Irpef e sulle imposte dirette sui redditi delle persone fisiche. Tutti dovranno capire, e con un aumento fiscale sensibile lo si capirà davvero, che forse viviamo al di sopra delle nostre possibilità e che non possiamo permetterci in questa difficile congiuntura sperperi e sprechi.

E’ ormai il tempo della responsabilità, non più delle illusioni. La Confcommercio, che si rende perfettamente conto della estrema gravità del momento, sarà vigile e partecipe al dibattito e alle iniziative che saranno adottate nei prossimi tempi. Intanto lancia un ulteriore monito, sperando che a differenza di quello sulla sanità venga compreso dalle Istituzioni locali e discusso in tempi rapidi: la sanità è solo il primo bubbone che è esploso, ma altri ne seguiranno, quale quello ad esempio della scuola molisana. Una scuola ipertrofica, costosissima, centrata più sulle necessità di chi ci lavora che non di chi ne deve usufruire. Basta fare un semplice ragionamento: che senso ha, e quanti costi comporta difendere a spada tratta l’istituto superiore di in un piccolo centro molisano senza pensare a quali effetti questa stoica, e anche in questo caso intransigente difesa comporta? Due ragionamenti su tutti: le enormi spese per tenere in piedi una scuola superiore in un centro isolato sono somme distratte dal sostegno agli studenti, che invece, con adeguati sussidi per i trasporti, per i libri e per mense gratuite potrebbero ben frequentare centri scolastici integrati, nei centri maggiori della regione, con un’offerta formativa di sicura qualità.

Non solo. Tenendo in piedi questi totem di un’autonomia insensata si distorce in modo sistematico la stessa domanda di formazione. Se in un paese c’è un istituto tecnico la maggior parte degli studenti del luogo si iscriverà lì, a prescindere dalle qualità e inclinazioni tecniche di ciascuno di loro. E così il capitale umano di una regione, l’unica vera risorsa per un domani migliore, viene disperso, mal utilizzato, frustrato e non coltivato con attenzione. Ma anche qui la facile demagogia spesso fa premio sulla dura e impegnativa realtà dei fatti. Si tratta allora di un sistema che deve essere ripensato, riorientato e razionalizzato in tempi rapidissimi, pena una nuova deflagrazione contabile. E purtroppo dopo un colpo durissimo come quello della sanità un altro colpo ci manderebbe definitivamente al tappeto.

Paolo Spina – Presidente Confcommercio Campobasso

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