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TERMOLI _ Verso la fine del 2005 si determinò la decisione della Commissione Europea di ridurre drasticamente almeno il 50% la produzione di zucchero in Europa. Questo disastro ha costretto l’Italia a chiudere inizialmente 13 siti produttivi su 19 e in seguito 15 su 19. La memoria non ci tradisce, il Sindacato unitario organizzò ben cinque manifestazioni nazionali per contrastare e condannare il disastro compiuto, in perfetta solitudine, salvo rare eccezioni di partecipazione e solidarietà istituzionali, sulla base delle quali la Regione Molise non è stata mai presente. A febbraio 2006, in una trattativa durata 72 ore no stop, si delineo il piano di chiusura dei zuccherifici, le garanzie sociali, i piani di riconversione, ma sopratutto quali zuccherifici sarebbero stati interessati alla chiusura. Con la presenza di 132 rappresentanti dei lavoratori del saccarifero si decise la linea strategica di dare continuità produttiva all’unico stabilimento al sud, quello di Termoli, conseguenza di una discussione dura, aspra, ma ricca di passione e solidarietà.

Questo breve racconto dei fatti serve a fare intendere a tutti, prima che qualcuno maturi la voglia o la consapevolezza di interrompere la missione produttiva dello zuccherificio del molise, che dovrà fare i conti con il movimento sindacale a tutti i livelli organizzativi. Chiarito che lo zuccherificio del Molise non si tocca, bisogna che tutte le parti in causa con senso di responsabilità, abbandonando interessi e architetture elettorali e politiche, decidano cosa fare e e come fare. Nell’attuale situazione di mercato, uno zuccherificio ha futuro se soddisfa e premia i bieticoltori, che sono la risorsa primaria per produrre zucchero, gli stessi devono avere garanzie sul conferimento della materia prima, con un redditivo compenso, in alternativa i produttori agricoli decidono di coltivare altro e lo zuccherificio esaurisce la sua funzione.

Consolidare la filiera bieticola saccarifera implica necessariamente prevedere investimenti sia in termini di innovazione, sia per ampliare le superficie coltivate, finanziabili con il PSR , visto che ci sono a disposizione ancora 100 milioni di Euro da spendere. Il secondo asse, se si vuole competere in Italia e in Europa è abbattere i costi, i quali in termini prioritari sono generati dal consumo energetico e dall’inadeguatezza degli impianti e della logistica di supporto. L’indipendenza e l’autonomia energetica per il funzionamento di uno zuccherificio sono i primari investimenti realizzati dal restante settore saccarifero. Per fare queste normali innovazioni, servono ingenti investimenti di lungo respiro e un piano industriale di crescità che proietti la missione produttiva dello zuccherificio negli anni futuri, consolidando e tranquilizzando tutta la filiera produttiva. Risorse che possono essere recuperate in parte nel programma Molise Agroalimentare, ed in parte da ricercare nell’ambito di progetti di filiera e nel fondo per lo sviluppo per il Mezzogiorno.

Il precipitare della situazione economica e finanziaria della gestione dello zuccherificio ha nomi e cognomi abbastanza identificabili. Il primo responsabile è il Governo della regione Molise, la gestione è stata fallimentare, ha immesso nella gestione dello zuccherificio ingenti risorse pubbliche che non hanno costruito sicurezza e prospettive produttive e occupazionali. Il secondo responsabile, conseguenza di processi decisionali della Regione Molise, tra l’altro con procedure anomale e non trasparenti, è il Partner privato, che non ha avuto un progetto industriale, non ha investito, anzi ha portato lo zuccherificio all’insolvenza verso i creditori e dunque sull’orlo del baratro del fallimento. L’attuale soggetto imprenditoriale è reduce da altre situazioni similari e come più volte affermato va tolto dalla scena produttiva e economica della gestione dello zuccherificio. Per il precipitare della situazione in questo ultimo periodo, la CGIL non può non riconoscere, in una situazione di insolvenza dello zuccherificio, il ruolo che la Regione ha assolto per il salvataggio finanziario e occupazionale dello stesso.

 E’ arrivato il tempo però di cambiare passo, il Governo della Regione Molise deve prendere atto che altri salvataggi non saranno possibili, che un Ente pubblico non può fare l’imprenditore, che monta un’indignazione dei cittadini sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Immediatamente va avviata una procedura amministrativa, attraverso gara pubblica, anche di carattere Europeo, per l’individuazione di un investitore privato che acquisti l’intero pacchetto azionario e dia garanzie per un flusso di capitali finalizzati agli investimenti necessari allo sviluppo della produttività e della necessaria competitività sui mercati di riferimento. Tale operazione permetterebbe alla Regione Molise di rientrare dei capitali immessi negli anni alla gestione e funzionamento dello zuccherificio, riportando nella società e nella collettività del Molise, almeno su questo tema, giustizia e equità.

 La CGIL e la categoria della FLAI-CGIL a tutti i livelli, su questi temi e obiettivi ritiene importante assumere una auspicabile posizione unitaria e a seguire promuovere incontri con le forze sociali, politiche e istituzionali affinchè si creino le condizioni per una condivisione delle azioni necessarie ed immediate per ricostruire per lo zuccherificio una missione, una prospettiva occupazionale stabile, all’insegna della giustizia, dell’equità e della trasparenza.

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3 Commenti

  1. analisi di parte
    Il sindacato fa il suo mestiere e su questo non si discute. Il sindacato difende gli interessi legittimi dei lavoratori, e anche su questo non si discute. Incomincia a essere oggetto di dibattito quando il sindacato entra nelle scelte gestionali.sPunto primo. La chiusura del 50% dei zuccherifici non era un atto di cattiveria fatto dalle istituzioni europee contro il quale bisognava opporsi a tutti i costi, era solamente la constatazione che non c’era più mercato e quindi non ci poteva essere produzione. Contro questa semplice logica si sono opposti, unici fra tutti, i sindacati e le istituzioni molisane, mantenendo in vita, contro ogni logica di mercato un’azienda ed un prodotto che sul mercato non ha più ragione di esistere. Fatta questa decisione, si è incominciato a pompare denaro pubblico per mantenere in vita una fabbrica che non era in grado di sopravvivere con le proprie forze. Anno dopo anno si sono versati milioni di euro, chi dice 30 chi di 50 milioni. Ora, giunti al punto che ogni altro sversamento di denaro dei contribuenti incominicia a diventare intollerabile, per una società in crisi, che cosa chiedono i sindacati? Soldi, soldi, soldi e ancora soldi pubblici. Si perchè nell’articolo si utilizzano vari giri di parole, ma la sostanza è la stessa. Su questo noi ci permettiamo di dissentire. I sindacati devono fare il loro lavoro e difendere l’occupazione degli addetti del settore, ma queste garanzie non passano attraverso la strategia vogliono perseguire.
    Ci sono altri ammortizzatori che si possono attivare, si può ipotizzare una legge speciale regionale per gli addetti a questo settore, anche se io sarei contrario, ma certamente non si può continuare con la politica degli ultimi 10 anni, perchè abbiamo visto tutti che non funziona.
    Nè l’invocazione del socio privato è una risposta, perchè non esiste un imprenditore che sia disposto a puntare contro il mercato, perché non sarebbe un buon imprenditore, avrebbe altri fini o altri intendi speculativi. Quindi una soluzione peggiore del male. Per concludere, bisogna rassegnarsi, anche se dolorosamente, a chiudere le aziende che non possono competere sul mercato, e costruire dei buoni ammortizzatori per l’occupabilità dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Soluzioni diverse sono solo spreco inutile del denaro dei contribuenti.

  2. difesa d’ufficio
    Questa sigla sindacale rappresenta interessi di parte. Interessi legittimi ma che riguardano un numero limitato di lavoratori. Ora, il fatto di firmarsi come sindacato, e di parlare a nome di una filiera o di un settore produttivo, pare voglia dare l’impressione di occuparsi di problemi generali, ma non è così, sono problemi particolari, di un nucleo preciso di addetti, in un’azienda ben determinata.
    Perchè dico questo? Lo dico perchè gli interessi particolari non possono essere risolti con la fiscalità generale. In altre parole, i contribuenti non possono pagare il fallimento di un’azienda.Questo è profondamente ingiusto per due motivi, il primo: perché le tasse sono giunte ad un livello di insopportabilità, e stanno soffocando l’intera economia; il secondo perché non si capisce perché privilegiare una categoria di lavoratori, rispetto ad un’altra o rispetto alle migliaia di disoccupati i quali si avrebbero bisogno di interventi per trovare un posto di lavoro. Allora, come la si vuole girare o come la si vuole voltare la questione rimane sempre la stessa. Le aziende fallimentare vanno chiuse.
    La politica deve favorire l’occupabilità di tutti, ivi compresi coloro i quali perdono un posto di lavoro, i quali possono avere delle vie aggevolate, ma nulla di più. Mantenerli a vita in una struttura che non regge il mercato è sbagliato, ed io da contribuente, non ci sto

  3. conti
    Il sindacato con velata minaccia scrive che lo zuccherificio non si tocca altrimenti si dovrà fare i conti con il movimento sindacale.
    Ecco bravi sono proprio dei conti che abbiamo bisogno. Sono proprio i conti che non tornano e se Il movimento sindacale vuole partecipare a fare i conti noi ne siamo tutti felici.
    Perchè noi contribuenti di conti non ne vogliamo pagare più. Credo che questo il sindacato FLAI-GCIL lo sappia, come lo sa chi amministra i soldi dei contribuenti.Per cui non facciamo scenate inutili, è ora di finirla di pompare risorse pubbliche- il paga pantalone – non va più.