TERMOLI _ Oggi giorno sembra essere fuori moda, escluso dal contesto sociale, civile ed economico chi non si lamenta, chi non pone in evidenza il rigore dei tempi, la ristrettezza economica, la precarietà occupazionale, il disfacimento degli ideali, la lassezza dei costumi e l’evaporarsi della moralità. Non che non siano giuste queste considerazioni e non rispondano e collimino con un’oggettiva situazione che fa sperimentare la sofferenza, il disagio, l’angoscia. Ma anche in questa situazione è bene porre in evidenza che proprio perché esiste ed impera una realtà magmatica ed incandescente è necessario trovare degli spiragli, delle soluzioni. Occorre fare di “necessità virtù”.

La precarietà, l’instabilità, la crisi possono essere veicoli, stimoli incentivanti e si possono trasformare in risorse, occasioni. Nulla è talmente rotto o compromesso tanto da non poter avere anche un esile spiraglio attraverso cui far trapelare un raggio di luce, di speranza. “un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno” certo sarebbe meglio se funzionasse sempre ma anche così per ben due volte, meccanicamente funziona. Meglio sarebbe assumere un’altra espressione più graffiante e stimolante perché prospettica e possibilista: “Nel buio non maledire l’oscurità ma accendi il tuo fiammifero”. Ecco: mettersi in gioco, dare del proprio, non piangersi addosso, ma darsi da fare. Coinvolgersi. Non denunciare solo, ma progettare, provocare, stimolare. Occorre disegnare un futuro più roseo nella consapevolezza che il futuro cova nel presente. Il passato è un uovo rotto e il futuro è un uovo da covare. Ma Il futuro entra in noi molto prima che accada, entra con il primo passo, come un seme, come una profezia, entra in chi si alza e cammina per un anticipo di fiducia concesso al proprio domani. Solo per questo anticipo di fiducia dato a ogni uomo, perfino al nemico, la nostra terra avrà un futuro. Si mettono in cammino, e la speranza è più forte dell’evidenza.

Il tempo è il luogo e la materia prima di cui servirsi per compiere tutto questo. Siamo abituati a dire che non abbiamo tempo, si desidera sempre più tempo tanto che quasi occorre allungare le giornate. Non si deve perdere tempo. E’ necessario dedicare del tempo a qualcuno a qualcosa. Abitare il tempo significa esserne protagonisti ed interpreti. A nessuno avanza il tempo tanto da possederne in modo superfluo. Il tempo libero è merce rara allora occorre trovare o procurare il tempo liberato cioè quello dedicato, scelto per ciò che amiamo di più. Giovanni Paolo II era solito esortare i giovani inducendoli ad essere protagonisti del proprio divenire e diceva: “Fate della vostra vita un capolavoro”. Per ottenere questo risultato è necessario che il tempo sia a nostro servizio, con la presidenza della nostra intelligenza e sensibilità, della nostra moralità e cultura e non il contrario: noi succubi del tempo che passa che ci divora famelicamente. La concezione cristiana del tempo, geometricamente parlando, è lineare. Da un inizio si procede verso un Fine.

Non è una concezione di interminabile e fatale ciclicità come una sorta di serpente che si morde la coda, tutt’al più si avvicina alla concezione ebraica che ha una visione a spirale, un avanzamento lento, quasi impercettibile ma tendenzialmente verso un futuro. Questa dimensione prospettica del tempo mette in moto tutte le potenzialità di cui si dispone per essere costruttori di avvenire, artefici del proprio divenire e non semplice ed inutili spettatori di qualcosa che è già scritta, delineata e fatalisticamente accettata, malgrado tutto. Abitare il tempo significa saper scorgere le occasioni, propiziare le opportunità, disegnare un futuro da protagonisti. Allora non c’è tempo che non sia convertibile in questa direzione o assumibile in queste dosi. Anche perché, e non è poco, occorre umilmente riconoscere che del tempo non siamo assolutamente padroni né generatori ma amministratori e fruitori perché è dono gratuito e limpido che viene da Colui che è fuori del tempo in quanto in Lui tutto è: passato, presente e futuro racchiusi in un attimo.

La nostra vita, che è fatta di tanti anni composti da successivi trecentosessantacinque giorni, dodici mesi, cinquantadue settimane; da ventiquattro ore al giorno, di sessanta secondi ciascuna, di millequattrocentoquaranta minuti al giorno che equivalgono a ottantaseimilaquattrocento secondi, deve essere vissuta con docile stile creativo facendo in modo che tutto sia interpretato al meglio e al massimo delle proprie energie anche quando tutto rema contro. L’importante è che ogni attimo sia vissuto come il primo, l’unico e l’ultimo. Solo allora si darà la massima attenzione e la maggiore generosità ad ogni cosa che si fa! Forse proprio qui risiede il segreto del successo e il desiderio della rinascita, della speranza in un mondo che sembra andare a rotoli. Non rimane altro che fare del tempo l’ingrediente primario per il menu della vita, consapevoli che è una essenza di cui non siamo noi stessi produttori ma amministratori.

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2 Commenti

  1. ma chi si lamenta?????????????
    Egr. Benito, il problema secondo me è dovuto al fatto che il popolo stà subendo senza lamentarsi, assistendo passivamente al disfacimento di ideali, conquiste socio-economiche,speranze. Ci vorrebbe una chiesa forte dove i vescovi siano più pastori di anime e meno potentati economici,una chiesa che si ritrovi UNITA non intorno a MARCINkUS e suoi adepti, ma intorno AL CRISTO nel quale anche Lei mi auguro creda.

  2. Habemus Papam
    Finalmente un Papa Papa, a mio parere il più Santo dell’ultimo millennio. La chiesa è ad un bivio, o torna a Cristo o implode sotto il peso della propria incoerenza.Nessuno può usare il nome di Cristo impunemente,NESSUNO!