TERMOLI _ “La politica è la forma più alta di carità”, ebbe a dire Paolo VI negli anni settanta. Della carità, della stessa carità cristiana, abbiamo una concezione forse ancora troppo legata alla saltuarietà, all’occasionalità, ad un buonismo che non disturba o ad una sorta di martirio per pochissimi eletti. L’identificazione della forma più alta di carità con l’impegno politico può sembrare forte, addirittura spiazzare chi di questo impegno ha una visione totalmente diversa, come lotta tra gruppi di potere o tra ideologie contrapposte. A ben riflettere quell’intuizione di Paolo VI, inscritta nel patrimonio genetico dell’esperienza cristiana, invita ad una riflessione profonda sul significato più vero della politica. In prima battuta un commento può essere questo: la politica è un impegno consapevole soprattutto personale, e quindi anche di gruppo, a favore della collettività, un impegno non superficiale ma continuo, spesso non molto gratificante, un impegno che è frutto di una innata vocazione alla dedizione pressoché assoluta per gli altri, a costo di sacrifici personali.

Il politico che vive fino in fondo questa sua vocazione (alla quale evidentemente non tutti sono chiamati ma è bene che tutti sappiano di cosa si tratti) mette a servizio della collettività tutte le sue risorse personali, l’intelligenza, la professionalità, le doti particolari, le inclinazioni naturali del suo carattere; per la collettività sacrifica il suo tempo, la sua carriera professionale o imprenditoriale, sacrifica i suoi amici, spesso gli affetti familiari, un politico che sa farsi anche da parte, quando certe condizioni lo richiedono, da incarichi istituzionali ma che continua a vivere quella passione e impegnarsi nella società civile, caso mai facendo tesoro della sua esperienza a favore delle nuove generazioni.

Una tale figura di politico è capace di dimenticare se stesso per mettere al primo posto gli altri, gli interessi collettivi, il bene comune appunto che è come il faro che guida ogni scelta politica. Evidentemente questa è la concezione che consegue al principio sopraesposto. Nella quotidianità però non raramente constatiamo stili, metodi ed esempi che vanno in tutt’altra direzione, anche da parte di quanti si riconoscono cristiani o addirittura appartenenti a comunità impegnate dai quali ci aspetteremmo l’attuazione di quel principio. Senza alcun pudore si perseguono così scopi e interessi che non solo non appartengono al Bene Comune ma sono esplicitamente offesa ad un onesto vivere civile. Per tanti l’impegno politico è stato ed è trampolino di lancio per le proprie ambizioni, forse anche per l’arricchimento personale, opportunità per sistemare le proprie “cose”.

Per questo andazzo nauseabondo (dal quale la sporcizia di cui abbiamo già detto) tanti prendono le distanze dalla politica attiva e se ne ritraggono con sufficienza o atteggiamento sprezzante. É paura della fatica o mancanza di fiducia nel fatto che ci sia ancora posto, a cominciare dalle nostre realtà locali, per persone che abbiano a cuore il bene della comunità? Servire la comunità prima di essere un punto di onore e di merito di fronte agli uomini, lo è innanzitutto di fronte alla propria coscienza.

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