Nicola D'AscanioCAMPOBASSO _ Oltre che dai problemi conseguenti alla crisi economica generale e dai duri provvedimenti adottati proprio in queste ore dal governo Monti, il Molise è assillato da tempo dal lavoro che non c’è, dal dissesto finanziario delle casse regionali, dallo smantellamento del sistema industriale con le allarmanti situazioni dell’area di Pozzilli e della Fiat P.T. di Termoli. Continuano a pesare sulla nostra regione il degrado ambientale e il dissesto idrogeologico, la frantumazione e la dequalificazione del sistema sanitario, dei trasporti, dei servizi sociali, della scuola, le infiltrazioni mafiose ed affaristiche nel ciclo dei rifiuti, delle energie rinnovabili, dell’edilizia e dell’usura. Sono problemi enormi che, all’indomani della ormai conclusa vicenda elettorale, hanno bisogno urgente della mobilitazione democratica di tutte le forze del cambiamento, senza esclusione alcuna.
Ieri si è insediato il nuovo Consiglio Regionale, ma c’è la convinzione diffusa, a causa dell’appuntamento mancato con il cambiamento, che non è quella la sede capace di affrontare e dare soluzione ai problemi dei molisani se non torneranno ad essere protagonisti della vita civile i cittadini con i loro movimenti, le loro associazioni ed anche con quei soggetti politici che intendono spezzare definitivamente le catene della immoralità politica e della rincorsa liberista e proiettarsi verso un impegno eticamente e socialmente più alto e più inclusivo e, perciò, incidere e condizionare fattivamente le decisioni del governo regionale e della pubblica amministrazione.

La partita torna a giocarsi nella società e nelle piazze, sul territorio, non inseguendo illusioni tecnocratiche e tentazioni consociative, non nel chiuso del palazzo gravato ancora com’è, nonostante i proclami, da opacità, compromissioni, trasversalismi e privilegi che costituiscono un invalicabile muro relazionale per la comunità nel suo complesso. Noi di “Cambiamo il Molise” siamo dalla parte dei cittadini, delle associazioni, dei sindacati, di quanti, cioè, intendano aggregare interessi collettivi, rilanciare la battaglia per lo sviluppo sostenibile e per la difesa dei beni comuni, primo fra tutti il ‘patrimonio-molise’ come bene inalienabile dei molisani. La dimensione esponenziale della chiusura di piccole e medie aziende associata alla dilagante disoccupazione e inoccupazione, in particolare di giovani e donne, ha impoverito le famiglie, desertificato i piccoli centri urbani, depauperato il territorio.

Le relazioni statistiche disponibili ci danno i numeri dei senza lavoro – il 23% secondo l’ultimo rapporto noto – in una escalation da incubo; siamo arrivati al punto che il precariato diventi per molti un rimedio, un obbiettivo desiderabile e non da tutti raggiungibile e che il precario finisca con l’apparire un fortunato rispetto a quanti dopo vane ricerche si convincono di essere nati in un momento sbagliato. Il ricorso alla cigs è cresciuto come in nessun altro paese d’Europa e da strumento sociale di accompagnamento al reinserimento nei flussi produttivi, si è ridotto a mero indicatore economico e a svolgere di fatto la funzione di una sorta di ‘reddito di sopravvivenza’.

Nel Molise viviamo una pericolosa situazione di recessione non più strisciante, ma conclamata: è questo il nostro default se non invertiamo la rotta. Sbaglieremmo a pensare che ciò sia una ‘fatale’ conseguenza della crisi globale. Dobbiamo essere consapevoli che ci sono anche errori di impostazione, ritardi culturali e politici, responsabilità e speculazioni locali. E’ bene che si dica, sia per bisogno di trasparenza sia, soprattutto, per evitare che le proposte risolutive, che non sono dietro l’angolo, siano costruite su analisi sbagliate. Occorre ripartire da un nuovo impianto di politica economica che con nuove idee superi un dibattito politico ormai sclerotizzato e, semplificando, coniughi una innovativa proposta di sviluppo territoriale sostenibile con la necessaria ed urgente predisposizione di un puntuale piano straordinario per il lavoro.

Parlare di territorializzazione dello sviluppo non significa far passare in secondo ordine il ruolo e la funzione dei grandi gruppi industriali oppure rinunciare a promuovere il territorio per renderlo recettivo a delocalizzazioni compatibili e ad innovazione. Anzi, a tale proposito occorre rivendicare a pieno titolo il credito che vanta ancora la comunità regionale proprio nei confronti di Fiat P.T. e DR Group, solo per fare due esempi, che non ancora estinguono il debito contratto per i finanziamenti nazionali e regionali ricevuti né sul piano delle ricadute occupazionali né su quello della prospettiva industriale e di creazione di indotto. Parlare di sviluppo locale significa mettere in filiera le risorse, agire sull’innovazione, valorizzare l’identità, promuovere ed utilizzare la ricerca, salvaguardare l’ambiente, tutelare la qualità della vita e con essa i diritti sociali e personali, difendere con rigore la legalità, costruire risposte adeguate alla sempre più pressante domanda di equità sociale.

Significa creare ricchezza producendo qualità come, ad esempio, investendo nel turismo ambientale, paesaggistico, culturale, enogastronomico, nell’economia sociale, nella difesa del territorio dai rischi idrogeologici, nella infrastrutturazione viaria ed informatica, nell’agroalimentare a filiera corta/fino a chilometri zero per il mercato locale, ma al tempo stesso valorizzare con prodotti specifici, anche di nicchia, la nostra produzione, nella promozione non solo commerciale della biodiversità, nelle produzioni a basso consumo energetico, nel recupero dei centri storici e dei beni archeologici, nell’artigianato tipico, nella cooperazione che coniughi una forte solidarietà sociale con la volontà di introdurre percorsi innovativi sul territorio, nel rapporto diretto con le imprese che garantiscono rintracciabilità dei prodotti, qualità dei processi, sicurezza delle condizioni di lavoro, rispetto dei diritti.

Non da ultimo, sviluppo locale vuole significare coinvolgimento di tutti gli stakeholder (lavoratori, consumatori, associazioni, università, centri ricerca, imprese) che insieme agli organi di governo costituiti sul territorio progettino e decidano, in modo sempre più oculato, trasparente e verificabile, l’impiego delle risorse. Si tratta di operazioni che devono essere finalizzate ad un rigoroso riscontro occupazionale, da monitorare regolarmente. Ne abbiamo bisogno non solo per ridisegnare un nuovo modello economico e produttivo, ma anche per sostenere l’innovazione aziendale nelle realtà produttive che possono, attraverso un’adeguata riconversione, conquistare o riconquistare spazi di mercato o per sorreggere trasformazioni radicali in quelle che dovessero risultare obsolete e dannose per l’ambiente e per la salute dei cittadini. In buona sostanza occorre anche qui elaborare una nuova legislazione di sostegno che oltre a non macchiarsi di connotati assistenzialistici e meno che mai clientelari, punti ad incentivare una azienda non per ciò che ha fatto ieri, ma per ciò che progetta di fare domani imboccando la strada dell’innovazione a tutto campo. Né pensiamo si possa procrastinare il riaccorpamento, nelle mani di un unico soggetto responsabile (per quel che potranno nell’attuale rimodulazione, le Province), delle politiche attive del lavoro, di orientamento e della formazione professionale.

Per concludere, vi è da ritenere che di fronte alla crisi globale del sistema economico e finanziario e in presenza di un contesto che, come sta accadendo sotto i nostri occhi, è sempre più caratterizzato da decisioni prese a livello nazionale ed europeo, si debba rafforzare il ruolo delle strutture amministrative locali, con in testa le regioni, qualora queste risultino capaci di dare risposte concrete e serie alle difficoltà del territorio ed ai problemi delle comunità coinvolte. Ciò anche nel Molise: la complessità dei rapporti sociali creati dalle nuove emergenze (desertificazione, esodo, disoccupazione), l’aggravarsi della gestione dei territori non metropolitani e rurali (taglio dei servizi essenziali, comunicazioni inadeguate), l’aggressione delle merci provenienti dall’estremo oriente ed un sistema distributivo contraddistinto dai centri commerciali che di fatto hanno cancellato i poli produttivi locali, sono fenomeni che impongono la rivalutazione delle comunità locali, la rinascita di una loro capacità di progetto autonomo nel nome di una riscossa funzionale, unitamente ad una grande capacità di confronto con le realtà più avanzate non per esserne risucchiati né per imitarle, ma per cooperare ed eventualmente per competere. Per questo obbiettivo dobbiamo tutti impegnarci, per costruire un modello di sviluppo produttivo locale capace di porsi in relazione dialettica e funzionale anche con le altre realtà.

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