CAMPOBASSO _ Le politiche sociali, che avevano subito un processo di trasformazione notevole sia sul piano legislativo, con l’approvazione della legge quadro n. 328 del 2000, che su quello culturale e dell’organizzazione dei servizi, negli ultimi anni sono state seriamente compromesse dai sistematici e ripetuti attacchi portati avanti dal centrodestra, in nome di un’ideologia neoliberista che attraverso la crescita dell’individualismo e del consumismo ha fatto proliferare costantemente la povertà ingenerando, altresì, sterili contrapposizioni tra burocrazia e flessibilità del sistema dei servizi, tra ragioni del mercato e libere articolazioni della solidarietà, che hanno impedito di pensare i servizi sociali soprattutto come servizi orientati alla promozione umana anziché alla sua riparazione.

È via via venuta meno la filosofia che ha sostenuto alla base l’evoluzione concettuale dei servizi sociali: si pensi alla pianificazione sociale come obiettivo essenziale della politica, per conseguire una maggiore attenzione sulla persona umana quale attore sociale, alle modalità organizzative della comunità territoriale, al nuovo ruolo assunto dalla P.A. per raggiungere una maggiore qualità dei servizi alla persona e del Terzo Settore nei riguardi della progettazione e della gestione dei servizi pubblici, alla necessità di una nuova cultura organizzativa indirizzata verso l’acquisizione di una mentalità progettuale e creativa, nonché alla formazione continua all’interno dell’organizzazione.

Il “deo profundis”, infine, viene inferto dai drastici tagli nel settore decisi dal Governo Berlusconi, circostanza che non ha bisogno di commenti. Più di tre miliardi di euro nel triennio 2008/2010, poco più di trecento milioni nel 2011/2013: mancano all’appello oltre due miliardi e 800 milioni. È questo il confronto fra le risorse complessivamente stanziate negli ultimi tre anni nei Fondi dedicati a politiche sociali, famiglia, pari opportunità e non autosufficienza, e quelle che nella nuova legge di stabilità si prevedono di stanziare, relativamente alle stesse voci, per i prossimi tre anni. Naturalmente i numeri che si riferiscono al triennio 2011/2013 potrebbero essere cambiati in sede di discussione della legge di stabilità, ma al momento le cifre inserite nei documenti all’esame del Parlamento sono queste e raccontano la realtà di una riduzione complessiva di risorse pari a quasi tre miliardi di euro (precisamente 2 miliardi e 811 milioni) in tre anni.

Laddove prima vi erano 3 miliardi e 143 milioni di euro, ora si prevede di investire solo 332 milioni. Facendo le dovute proporzioni, ciò vuol dire che laddove si investivano 100 adesso si spende poco più di dieci. Ha ragioni da vendere chi ha sostenuto che: “Qui non si tratta di un taglio: è un cambiamento di paradigma. C’è da rimettere in discussione tutto il sistema di finanziamento dei servizi sociali”. Ma vorremmo concentrare la nostra attenzione sull’erosione di risorse destinate alla più importante delle voci considerate, quella riguardante il Fondo nazionale per le Politiche sociali. In costante discesa negli ultimi anni (passando dai circa 650 milioni del 2008 ai 380 del 2010), la spesa viene ora in un sol colpo ridotta a un quinto, con i 75 milioni previsti per il 2011.

Cifra che cala ancora per il 2012 (70 milioni) e per il 2013 (circa 45 milioni). In sei anni lo stanziamento potrebbe passare, dunque, dagli oltre 650 milioni del 2008 ai quasi 45 del 2013: si tratta di un quattordicesimo dell’importo iniziale. Infine, ancora più evidente e netta è la riduzione del Fondo dedicato per la non autosufficienza, che in pratica assume i connotati di una semplice cancellazione: erano stati stanziati 300 milioni nel 2008 e 400 milioni all’anno nel 2009 e nel 2010. Al momento, la quota prevista per il 2011 è pari allo zero, e così anche per i due anni seguenti. Confronto complessivo: nel 2008/10 un miliardo e 100 milioni dedicati alla non autosufficienza, nel 2011/13 non un solo euro. Questa “mattanza sociale” i cui effetti si riverberano soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione, assume i contorni di un vero “disegno criminoso” nel momento in cui si compromette anche l’apporto sempre più decisivo del Terzo Settore, che rappresenta un elemento essenziale per il passaggio dal welfare state al welfare community, in cui il cittadino assurge ad artefice del proprio lavoro con le responsabilità, i diritti e i doveri che ne conseguono.

In altri termini, non si garantisce la possibilità di un impegno attivo nella scelta dei servizi sociali, concedendo al no profit la possibilità di svilupparsi in maniera adeguata. La mannaia dei tagli indiscriminati colpisce il no profit con il 5 per mille ridotto a un quarto e con la cancellazione delle agevolazioni sulle tariffe postali. Negli ultimi anni, a seguito degli andamenti del mercato finanziario che hanno fatto diminuire gli utili delle Fondazioni bancarie, anche le somme previste per i fondi a disposizione dei Centri di servizio per il volontariato sono diminuite, creando uno stato di incertezza che non facilita certo il lavoro di programmazione e di gestione dei servizi e dei bandi. Si tratta di una mazzata tremenda per la vasta galassia delle associazioni non profit, che, tra l’altro, non sono enti di beneficenza dediti alla carità, costituendo bensì parte integrante del welfare nazionale, nel senso che ad esso si affiancano, lo supportano e in molti casi addirittura vi si sostituiscono laddove con le proprie forze il welfare non è in grado di arrivare. Non si può sottacere, infine, la caduta libera sia delle risorse destinate al Servizio Civile Volontario (che passano da 300 milioni del 2008, ai 170 milioni del 2010 e ai 113 milioni del 2011) sia di quelle destinate alla Cooperazione allo sviluppo (scese a 179 milioni).

Invece di perseguire la strada delle riforme strutturali, con la conseguente riqualificazione della spesa e la riduzione dei costi fissi, il Governo nazionale preferisce continuare nel ragionieristico taglio di finanziamenti e servizi; noi crediamo, invece, che occorra un progetto di società e un modello di welfare. Dobbiamo registrare con meraviglia lo strano e imbarazzante silenzio del Governo regionale, della relativa componente assessorile, degli Ambiti territoriali e dei Sindaci, che sono i collettori finali delle prevedibili rimostranze dei cittadini, che si vedranno ulteriormente taglieggiare i servizi sociali essenziali. L’IdV non intende assecondare questa disinformazione e ha elaborato una serie di iniziative intese non solo a denunciare quanto sopra esposto, ma soprattutto a dare voce a quanti sono bersagliati da tali tagli, nel tentativo di indurre quanti hanno precise responsabilità a limitare la portata distruttiva dei provvedimenti governativi, operando opportuni correttivi.

Il Dipartimento Lavoro e Welfare IdV Molise

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