CAMPOBASSO _ Le vicende politiche di questi giorni narrano di un nuovo Statuto regionale su cui si sono polarizzate grandi tensioni, quasi tutte incentrate sull ’aspetto dei costi della politica e del loro incremento con l’adozione di questa nuova carta fondante dell ’ autonomia regionale. Un aspetto sicuramente da non sottovalutare, ma che lascia in ombra probabilmente un discorso di sistema che nel lungo periodo è capace di impattare la società molisana in modo più profondo dell’incremento di due Consiglieri regionali. Il punto, anche in vista di un sempre più probabile referendum confermativo cui verranno chiamati gli elettori molisani, riguarda non tanto e non solo i costi dell’autonomia regionale, ma che forma di autonomia il popolo molisano desidera. E non si tratta certo di scelte neutre o di pura accademia. Sono scelte tali da influenzare e formare il futuro politico economico e sociale della regione.

Essenzialmente le opzioni, che non vengono a nostro avviso sciolte con sufficiente chiarezza dallo statuto approvato dal consiglio, sono due: democrazia diretta o democrazia indiretta. Il nuovo statuto opta per un sistema di democrazia diretta, in cui cioè il Governatore viene scelto direttamente dal popolo e gli viene garantita una chiara maggioranza in consiglio, ma con numerosi appesantimenti e freni, specie attraverso apparati e comitati di emanazione del consiglio regionale, tale da render il tutto un mezzo guazzabuglio. Bisogna invece essere chiari e lineari. E in questo l’opinione pubblica dovrebbe essere pienamente consapevole che l’opzione della forma di governo andrà ad impattare sulla vita quotidiana dei cittadini su cui ricadranno le conseguenze di tali scelte. Il meccanismo della democrazia indiretta è tale per cui la maggioranza (e lo stesso presidente della Regione) viene individuata, senza preventive indicazioni, dall’assemblea una volta costituitasi. In tale ambito è chiaro che anche gli organi di governo, la Giunta e gli Assessori non possono che essere consiglieri.

Si tratta di un processo di mediazione politica che trova nella votazione di un governo e di un Presidente la propria sintesi politica e di assetti di potere interni all’assemblea. E’un sistema da noi già sperimentato, specie con la vecchia legge di elezione regionale, nei quali il Presidente veniva scelto dall’assemblea tra i propri componenti. Questo sistema è assai lento, farraginoso, che porta ad una continua mediazione politica e programmatica e a frequenti rimpasti degli organi di governo ma è un metodo che non espone a rischi eccessivi di malfunzionamento o di crisi vera e propria delle istituzioni. Inoltre è un sistema in cui le qualità personali dei componenti del Consiglio non incidono in maniera decisiva sulle sorti della legislatura, essendo il tutto ispirato ad una sorta di aurea mediocritas. La democrazia indiretta è buona per l’ordinaria amministrazione, non crea danni irreparabili ma è ovvio che il prezzo da pagare è la impossibilità di avere, tranne rari casi, governi di puro cambiamento o di forte innovazione sociale ed economica. Ovviamente il discorso è diametralmente opposto per quanto riguarda la democrazia diretta. Questo è un sistema tutto sbilanciato sulla figura del candidato vincente che investito direttamente dal voto popolare assume lo status di Governatore. E’ lui a determinare, in quanto vincitore, la maggioranza.

Le conseguenze di questa impostazione sono chiare, meno chiare invece le implicazioni operative e politiche. Il Governatore ha il diritto dovere di scegliere liberamente, anche tra non membri del Consiglio regionale i propri Assessori allorché ritenga che ci possano essere al di fuori del Consiglio regionale figure più idonee per l’attuazione del programma di governo. Su quel programma di governo su cui ha chiesto e ottenuto la fiducia degli elettori. Il Consiglio regionale è chiamato a controllare le azioni del Governatore, non a compartecipare al governo, magari tramite escamotage o organi assembleari anomali (come invece sono previsti dal nuovo statuto regionale). Ed ha un’arma potentissima per esautorare un Governatore che per motivi politici o di condotta personale abbia tradito la fiducia chiesta all’elettorato: il voto di sfiducia. Un’arma, duole dirlo, che non è stata mai usata in tutti questi anni in consiglio regionale, nonostante una defatigante e a volte anche stucchevole dialettica con il Presidente della Regione e con la sua Giunta. E non è stato fatto, e così arriviamo al vero grande problema del metodo della democrazia diretta, perché i Consiglieri non hanno mai avuto il coraggio di rinunciare al proprio ruolo e alle proprie prerogative in favore di una causa puramente politica. Nel sistema della democrazia diretta quindi la qualità degli eletti è assolutamente fondamentale. Persone inadeguate non portano solo a risultati inadeguati ma a rischi di paralisi istituzionale e ancora peggio di blocco amministrativo e di sviluppo. Il metodo della democrazia diretta, in mano alle persone giuste, permette rapidità di azione, decisioni importanti in tempi ragionevoli ed anche cambiamenti strutturali della collettività governata.

Ma è un sistema assai rischioso. In mano a soggetti non all’altezza il rischio è che il sistema crolli, e che la comunità locale soffra marginalizzazione, crisi economiche e tensioni sociali. Il nuovo statuto regionale non tiene in alcun conto questa problematica, anzi. La qualità degli eletti è anche funzione del grado di rappresentanza e del bacino elettorale di cui gli stessi sono espressione. Aumentando i Consiglieri a 32, oltre al già noto problema dei costi (per il quale si potrebbe ovviare mettendo un tetto di spesa complessivo ai costi della politica, indipendentemente dalla numerosità dei Consiglieri, delle Commissioni e dei portaborse) si crea il problema che la loro base elettorale è sempre più ristretta. E questo comporta che la selezione avvenga in base a logiche, familistiche, territoriali e di convenienza che con la qualità politica e operative del rappresentato non hanno nulla a che vedere. E’quindi necessario ripensare il numero dei Consiglieri, riducendoli in ogni caso e senza indugio a 26, come d’altronde era stato dichiarato dallo stesso Governatore. E questo potrebbe avvenire anche abolendo il listino maggioritario oppure introducendo la preferenza plurima sempre nell’ottica di selezionare il personale politico non in base al campanile di appartenenza ma alle capacità politiche e dialettiche di cui è in possesso. Ecco quindi il vero tema del referendum sullo statuto. Quale qualità può esprimere il sistema politico molisano?

E il corpo elettorale molisano ha la maturità e la consapevolezza di quanto delicato sia il proprio ruolo e di quanto importante sia la scelta di un metodo elettorale anziché un altro? Francamente non lo sappiamo ma intanto abbiamo il dovere di avviare questo dibattito, di approfondirlo e di divulgarlo all’intera opinione pubblica, anche andando al di là e al di sopra della polemica spicciola e della sensazione epidermica o di breve respiro. Un fatto però in chiusura va rimarcato con chiarezza: le responsabilità del degrado politico economico e sociale vanno fatte ricadere sempre, solo ed esclusivamente sul corpo elettorale che con il voto ha sempre la possibilità di scegliere quanto è bene o quanto è male per il proprio futuro.

Paolo Spina Presidente Confcommercio Campobasso

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