Simone Coscia
TERMOLI _ Stiamo assistendo in questi giorni ad un interessante dibattito “culturale”, sul tema “scuola” in cui eminenti esperti del settore si stanno confrontando, con posizioni più o meno originali. Si è partiti dalla diatriba scuola pubblica–privata, giustificandone di fatto la parità dei finanziamenti ( o forse la disparità a favore dei privati!), per approdare all’introduzione del “dialetto termolese” (o più in generale della “termolesità”), come materia da insegnare nelle scuole dell’obbligo. Sarà forse che la “scuola padana” di Adro ha fatto breccia nelle menti e nei cuori di noi meridionali, ma dobbiamo prendere atto che, anche in questo campo, stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione ( o forse involuzione) di “federalismo culturale”.

Premesso che sono assolutamente favorevole a qualsiasi progetto culturale locale che valorizzi le nostre peculiarità legate alla marineria, alla cucina, all’astronomia, al dialetto, mi domando però se l’insegnamento di tale disciplina “particulare” presso le scuole dell’obbligo risponda alle finalità istituzionali della scuola di stato. Ricordiamo innanzi tutto che la nostra Costituzione all’art. 33 terzo comma, garantisce la piena libertà ai privati di istituire scuole ed istituti ma senza oneri per lo Stato., e che il c.d. “sistema di parificazione” (L. 62/2000) richiamato dall’amministrazione comunale in carica, non attribuisce il diritto alla scuola privata di avere contributi, ma solo la possibilità di riconoscere ai loro iscritti delle mere borse di studio sulla base di criteri predeterminati. Riguardo al tema dell’integrazione curriculare con la “termolesità” (a parte la cacofonia del termine), vorrei ricordare brevemente le illuminanti parole del componente dell’Assemblea Costituente Concetto Marchesi relatore dell’art. 33 Cost. : “La scuola non è da trattarsi alla stregua di un collegamento stradale o di un regolamento di acque.

La scuola è il massimo e, dirò l’unico organismo che garantisca l’unità nazionale. A ben vedere oggi, trova maggiore interesse e tutela un collegamento stradale secondario che l’intero comparto scolastico, e non è un caso che all’indebolimento dell’idea di “scuola come res pubblica” si stia sgretolando il concetto stesso di Stato e del suo popolo, proprio da parte di quelle forze politiche che da Nord a Sud si definiscono stranamente “neoconservatrici”.

Dove il mondo della scuola pubblica è oggi costellato da un numero impressionante di giovani precari e disoccupati si assiste in periferia dell’impero ad iniziative partigiane ed occasionali volte allo sperpero di denaro pubblico per finalità clientelari. Ebbene, pur favorevole ad una cultura locale che riallacci le proprie tradizioni, credo però che la scuola pubblica abbia una finalità generale di integrazione che esuli dal particolarismo territoriale, e che tali iniziative dovranno porsi al di fuori da qualsiasi obbligo scolastico, al più come semplice disciplina facoltativa per il discente.

Simone Coscia

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