Oreste Campopiano
Oreste Campopiano
TERMOLI _ Il 44° rapporto annuale del CENSIS sulla situazione sociale italiana ha rappresentato un Paese che, “seppure con una evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali” è riuscito a superare la fase più critica e drammatica della crisi globale. Vi sono però nella relazione almeno due profili che meritano di essere segnalati: il primo riferito al “ disinvestimento individuale dal lavoro”; il secondo “all’appiattimento” complessivo di una società che “slitta sotto l’onda di pulsioni sregolate”.

Se invero in tutto il mondo industrializzato la ricetta per uscire dalla crisi prevede l’attivazione ed il sostegno delle energie professionali con l’auto-imprenditorialità, l’Italia, che è stata la Patria del lavoro autonomo ed imprenditoriale ha visto invece ridursi progressivamente nell’ultimo decennio la componente del lavoro non dipendente. Siamo peraltro il Paese con più basso ricorso a orari flessibili nella organizzazione del lavoro; siamo il Paese europeo ove più bassa è la percentuale di aziende che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Tutto ciò, da un lato, indebolisce il sistema Paese nel suo complesso, dall’altro appesantisce il peso economico dell’apparato pubblico.

Ma l’aspetto più allarmante e per certi versi più subdolo e sfuggente è quello che il Censis riferisce al venir meno della fiducia nelle lunghe derive e nell’efficacia delle classi dirigenti del Paese ” al punto da far sorgere il dubbio che “ anche se ripartisse la marcia dello sviluppo la nostra società non avrebbe lo spessore ed il vigore adeguato alle sfide che dovremmo affrontare”. Su questo punto la relazione del Censis è davvero allarmante . Sono evidenti – vi si legge- le manifestazioni di fragilità sia personali che di massa, i comportamenti e gli atteggiamenti spaesati, cinici, indifferenti, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro. Si sono appiattiti i riferimenti alti e nobili ( il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo,la fiducia in uno sviluppo continuato e progressivo) soppiantati dalla delusione per gli esiti del primato del mercato, della personalizzazione del potere, del decisionismo di chi governa.

E così, conclude il rapporto Censis,una società ad alta soggettività che aveva costruito una sua cinquantennale storia sulla vitalità,sulla grinta, sul vigore dei soggetti, si ritrova a dover fare i conti proprio con il declino della soggettività che non basta più quando bisogna giocare su processi che hanno radici e motori fuori della realtà italiana”. La complessità è quindi oggi essenzialmente una complessità culturale. ”Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata ed appiattita” .Ed una società appiattita fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa.

Il lungo ciclo iniziato negli anni ottanta con la voglia di maggiore decisionismo e governabilità si va progressivamente esaurendo.Il nuovo corso non ha prodotto infatti l’auspicata accelerazione dei processi decisionali della Politica, tant’è che ben il 74% degli italiani giudica negativamente l’operato della P.A. e la maggioranza relativa ritiene che la litigiosità della classe politica sia il principale problema che grava sulla ripresa economica del Paese. Se questo quadro è veritiero, e non vi è ragione per dubitarne, si comprende facilmente che è il sistema nel suo complesso che va rivisto e che lo stesso soffre di troppe, ataviche, storture.

A meno di non voler fare come quando, nel 1932, alla domanda del giornalista tedesco Emilio Ludwig rivolta al Duce “… ma deve essere davvero difficile governare gente così individualista ed anarchica come gli italiani” questi rispose: “ difficile? Per nulla.E’ semplicemente inutile!”.

avv.Oreste Campopiano

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