TRABUCCHI O… DELFINI? I termolesi s’interrogano…
TrabbucchiTermoliTERMOLI – …E interrogano i delfini che saltano dietro i pescherecci. Ma i mammiferi sono di poche…parole. Qualcuno ha risposto ma in …ligure. Forse sarebbe stato meglio chiederlo ai…trabucchi (sic!). Peggio! Questi sono di legno e ferro e, oltre che di antenne come  grosse lumache, non sono muniti di parola (sic!).
Che fare? Allora hanno pensato di interrogarsi sulla loro presenza storica sulle coste di quella parte dell’Adriatico che va dall’Abruzzo fino all’estrema Puglia. Con particolare riferimento alla nostra costa. Cioè: come si è pensato di creare delle macchine da pesca e quali sono stati i pionieri di quest’invenzione tanto straordinaria, indispensabile e caratteristica?

Questa la loro storia.
I trabucchi, in termolese trabbucche  –  dove la e muta tradisce l’influenza francese di alcune parole del nostro vernacolo –  a Termoli erano originariamente dieci.  Disseminati nel tempo da sud a nord, da Rio Vivo a sotto le mura del Borgo Vecchio fino al fiume Sinarca.  Sembravano e somigliano ancora oggi – in quanto la loro forma è restata pressoché identica – a grossi pachidermi, elefanti con le lunghissime gambe sottili immerse a pochi metri dalla riva e la casa attaccata sulla groppa. Come quelli  dipinti dal grande surrealista Salvador Dalì. Collegati alla riva mediante passerelle di legno – che spesso non avevano bordi laterali per tenersi attaccati con le mani – sono sostenuti da pali in ferro o in legno. Anche la grossa rete da pesca a forma quadrata  è retta da lunghi pali che somigliano alle  antenne di grosse lumache  che… trascinano in acqua  la casa.
 
Il trabuccaro, pipa in bocca – di quelle fatte a mano con la cannuccia e il focolaio in creta o ceramica – trascorreva giornate e spesso anche lunghe notti, solo, a contemplare il mare. Ogni mezz’ora…tre quarti d’ora, a seconda del tempo e dei periodi, girava l’argano.  Quando la rete era tutta fuori dell’acqua, con un lungo bastone, terminante con una retina, tirava su il pesce… quando c’era!  Quest’operazione, quindi avveniva più volte durante il giorno e…la notte. Una piccola casetta di legno – che conteneva oltre al lettino o una semplice brandina per dormire, anche un fornelletto per cucinare e l’attrezzatura che serviva per la pesca – costituiva un riparo alle intemperie. I primi tempi il riscaldamento era assicurato  con una stufetta a carbone.
Già in Abruzzo, lungo le coste vastesi e fino a San Vito si costruivano queste  “macchine per la pesca”. Era uno dei pochi modi per assicurarsi un lavoro stabile, un investimento per vivere che si tramandava di padre in figlio. Un lavoro duro e di enormi sacrifici, di privazioni. Il trabuccaro si isolava dal contesto del paese e trascorreva, a volte, anche ventiquattro ore sulla piattaforma a guardare lo specchio di mare di forma quadrata della rete da pesca appesa ai lunghi  pali. Consumava il frugale pasto tra una “calata” e l’altra.
Fumava e guardava il mare!
 
Queste le tappe e i momenti storici della nascita dei “Trabucchi termolesi”.
La loro storia, per i meno informati, la riassumiamo in versi e in un’esposizione cronologica  pubblicata nel 2003 da P. Cupido.
 
TrabbuccheMetere
Il primo trabucco a Termoli  risale al 1879 le cui foto però risalgono al 1905. ” Era quello cosiddetto “sotto il convento delle monache”. Lo costruisce Felice Marinucci “Cellitte” (1840-1887),  morto ad appena 47 anni. Si fa aiutare dai Sanvitesi Bernardo e Domenico  Verì “di’ Scirocche”.
La “macchina” da pesca, snella ed efficiente, viene ereditata da suoi figli Antonio (1872-1932)  e Rocco (1879-1954) che all’epoca avevano rispettivamente 15 e 8 anni.  La famiglia vive sui proventi del trabucco.  I due ragazzi lavorano sodo ma non guadagnano tanto perché sono digiuni da un punto di vista commerciale e ricavano poco dalla vendita del pescato.
Dell’appartenenza ai Marinucci di questo trabucco, abbiamo una lettera spedita nel 1895 dalla trisavola di Peppino Marinucci al sotto prefetto di Larino. 
Il secondo trabucco viene costruito da un certo Alfonso Manzi proveniente da Ravello. “E’ un imprenditore nato! Nel 1918 porta a Termoli l’illuminazione. Dopo aver avuto il rifiuto da Antonio e Felice Marinucci che non vogliono cedere il trabucco, se ne costruisce uno da  solo sulla punta rocciosa che a sud chiude il porto.
Il terzo trabucco viene realizzato sulla punta della scogliera nord di fronte al resto del bastione sotto il Giudicato Vecchio.
Il quarto trabucco, nei pressi del primo. “Vengono effettuati dei fori nelle rocce per immettervi i pali.  Il sito si chiama “U bagne di’ femmene”,
Il solito Ginesio D’Orazio “carrafone”,  preso dalla “febbre di trabucchi”, coinvolge Orlandino e Gaetano Verì “di Scirocche” e nel febbraio del ’21”…a la cannelore”, si pesca.
Il quinto trabucco denominato “A lu scalone” ebbe un  destino strano, breve e avventuroso.  Costruito nel 1923 per volere di Antonio Marinucci “Cellitte” (1872-1923) insieme al fratello e ai fratelli Manzi, era localizzato nei pressi della Torre Saracena su una piattaforma naturale, di fronte allo scalone in legno, da cui il nome,
Il sesto trabucco del 1925 è appannaggio per intero dei Marinucci “Cellitte” insieme ai soliti sanvitesi. Voluto da Antonio, Rocco e Felice, viene costruito in prossimità del torrente Rio Vivo, ”a Gre Vive”.
Il settimo è del 1927 . Lo costruiscono  i Marinucci, ormai espertissimi costruttori,   alle Marinelle “a Li Savoce”, poco dopo il bar “Il Tricheco” di Giovanni Salerno. Anche questo ha vita breve e va a finire nelle mani dei soliti privati.
L’ottavo trabucco risale al 1930. Lo costruiscono Antonio e il figlio Felice “di Cellitte”. Sono aiutati dalla  famiglia  “Scirocco” di S. Vito.
Il nono trabucco è del 1932. E’ costruito sulla scogliera ovest da Rocco Marinucci e alla sua morte  nel 1954 lo eredita il figlio Felice. Nel 1968 passa da Antonio Mastrangelo  “magnammerde” a Celestino Esposito “cacatille”, attuale proprietario.
L’ultimo dei trabucchi, il decimo, è stato costruito a fianco del precedente. E’ di proprietà di tre persone: l’architetto che l’ha progettato Nicola Tamburrini, Nicola Fedele e Pardi Desiderio.
C’è un undicesimo trabucco, ancora in costruzione, a Nord del braccio del porto…
E dopo questa “storia” e queste alterne vicende di sudore, amore e appassionanti fatiche, c’è ancora qualcuno che INTENDE AFFERMARE che la nostra non è la “COSTA DEI TRABUCCHI” ma quella “DEI DELFINI”?
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Saverio Metere
Saverio Metere è nato a Termoli il 23 settembre del 1942. Vive e lavora a Milano dove esercita la professione di architetto libero professionista. Sposato con Lalla Porta. Ha tre figli: Giuseppe, Alessandro, Lisa. Esperienze letterarie. Oltre ad interventi su libri e quotidiani, ha effettuato le seguenti pubblicazioni: Anno 1982: Lundane da mazze du Castille, Prima raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1988: I cinque cantori della nostra terra, Poeti in vernacolo termolese; anno 1989: LUNDANANZE, Seconda raccolta di poesie in vernacolo termolese; anno 1993 da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume primo); anno 1995: da Letteratura dialettale molisana (antologia e saggi estetici–volume secondo); anno 2000: I poeti in vernacolo termolese; anno 2003 (volume unico): Matizje, Terza raccolta di poesie in vernacolo termolese e Specciamece ca stá arrevanne Sgarbe, Sceneggiatura di un atto unico in vernacolo termolese e in lingua; anno 2008: Matizje in the world, Traduzione della poesia “Matizje” nei dialetti regionali italiani e in 20 lingue estere, latino e greco.

3 Commenti

  1. Sbrocca Social
    Il Sindaco Angelo Sbrocca risponde su Facebook: “Egregio architetto (Saverio Metere), le volevo solo dire che la costa dei trabucchi già esiste ed esiste da diversi anni nel nostro vicino Abruzzo. Quella si che sarebbe stata una brutta fotocopia peraltro non riproducibile neppure giuridicamente. Le partecipo anche che la costa dei delfini in Liguria non è mai esistita eccezion fatta di un logo registrato e scaduto. I “trabuccari” non sono stati dimenticati dall’amministrazione ma non si voleva farli diventare “trabocchini”. Per ogni altra cosa può prendere informazioni direttamente da me o in comune ed avere così un quadro esaustivo. Con stima Angelo Sbrocca”

  2. Flipper’s Coast
    Scrive il Sindaco Angelo Sbrocca su Facebook “Le partecipo anche che la costa dei delfini in Liguria non è mai esistita eccezion fatta di un logo registrato e scaduto”.

    Egregio Sindaco le vorrei ricordare che nell’angolo nordoccidentale del Golfo del Tigullio, ai piedi del promontorio di Portofino, sorge Santa Margherita Ligure, nota località balneare della provincia di Genova. Il litorale che collega Santa Margherita a Portofino viene chiamato “COSTA DEI DELFINI” ed è considerato uno dei luoghi più esclusivi di tutta la Liguria.
    P.S. Non a caso il gonfalone di S. Margherita Ligure e lo stemma storicamente in uso raffigura il mare con corallo, DELFINO e tre stelle.

  3. i trabbucche
    In risposta al sindaco sui trabucchi:

    Egregio signor sindaco, ero già a conoscenza sia del del fatto che il “logo” dei liguri fosse scaduto sia dell’esistenza della denominazione di “costa dei trabucchi” abruzzesi. Ciò non toglie che si è “voluto copiare” un logo già “esistente”, cioè, “pensato” da altri e quindi “non originale”. Rimane il fatto che mentre i mari sono pieni di delfini, pochi sono i “trabucchi” esistenti. E noi li abbiamo avuti nel corso della nostra storia! E ne abbiamo tutt’ora! Nell’articolo a cui lei forse fa riferimento, io avevo anche suggerito una distinzione tra le tre regioni italiane che potrebbero vantarsi di avere un logo originale: Termoli avrebbe potuto avere, ad esempio, anziché la “casetta” cara al trabuccaro, il nostro Castello Svevo, l’Abruzzo il Palazzo d’Avalos di Vasto e la Puglia, ad esempio, la Cattedrale di S. Nicola con il suo originale “pronao”, oppure, ancor meglio, Casteldelmonte, dalla sua originale forma ottagonale. Si sarebbe subito compreso di quale “Costa” si trattava. Pertanto, io rimango dello stesso parere! Peccato, perché abbiamo perduto un’altra occasione per costruire una “goccia” di storia “nostra” a favore del nostro Molise (sic!). Egregio signor sindaco, La ringrazio d’aver dedicato un po’ del Suo tempo a quest’argomento. Quest’estate verrò a trovarla per chiederLe cosa sono i “trabucchini”, così lo potrò spiegare ai miei amici trabuccari. Ricambio la stima, Saverio Metere.